Per anni ho aderito (e sotto certi aspetti aderisco “ideologicamente” ancora) a Senza Bavaglio, la corrente guidata da Massimo Alberizzi e “portabandiera” dei freelance in Federazione. Mi candidai per loro, senza fortuna, come delegato al congresso del 2007. Da Bergamo SB esce però battuta e senza nemmeno un consigliere nazionale. Forse vorrà dire qualcosa. Ad esempio che su certe evidenze non vuole andare fino in fondo.
Nella gustosa galleria di ritratti che il delegato dell’Assostampa toscana, Stefano Fabbri, ha riservato giorni fa su Facebook al congresso dell’Fnsi di Bergamo, ce n’è uno che ritengo particolarmente azzeccato. E’ quello dedicato a Massimo Alberizzi, il leader storico di Senza Bavaglio, la corrente del sindacato nota per essere la portabandiera di quei senza patria che sono i freelance. Ho molti amici in Senza Bavaglio. E, nonostante alcune divergenze di opinione, Alberizzi è un collega che stimo. “Puo’ sembrare pittoresco – scrive di lui, acutamente, Fabbri – ma molte delle sue proposte sono respinte solo perchè le fa lui. Altrimenti sarebbero assolutamente sensate e utili“.
In un altrettanto sofferto racconto che della vicenda congressuale dà uno dei delegati di SB, Cristiano Tinazzi, si legge poi – ineccepibilmente! – che “…a questo Congresso in molti si sono riempiti la bocca delle parole precarietà e freelance. Pochi, anche tra i freelance, hanno capito che in realtà freelance e precari non sono la stessa cosa. Ma cosa ci si poteva aspettare da uno sparuto gruppo (una decina su 300 delegati) di giornalisti, divisi tra collaboratori e professionali, pilotati da una Stigliano contrattualizzata, che in una mozione votata per acclamazione dalla platea, ma impossibile da attuare, non hanno neanche capito che gli articoli vanno pagati a 30 giorni dalla consegna e non dalla pubblicazione? Il risultato triste e deludente di questo ultimo congresso viene anche incarnato da questa nuova categoria di freelance soldatini della maggioranza, lavoratori autonomi per disperazione che non sono neanche capaci di contrattare un minimo sindacale per il pagamento dei pezzi se non con una fumosa dichiarazione, sempre contenuta in quella mozione impraticabile e che rimarrà carta straccia nei cassetti della dirigenza FNSI perché inattuabile, che i pezzi dei freelance dovrebbero essere pagati più di quelli dei contrattualizzati…e come si valuta il pezzo di un contrattualizzato? L’idea è stata avanzata da Senza Bavaglio diversi anni fa ma con clausole precise e realizzabili. Il Congresso mette ai voti riforme dello statuto ammazza minoranze e loro votano a favore, scodinzolando dietro ai loro segretari regionali. Altri freelance in altri gruppi chiedono firme per presentare le liste e loro, in nome sempre delle direttive dei loro segretari, le negano, come ha fatto Nicola Chiarini del coordinamento Re.Fusi del Veneto. Risultato? Su 92 professionisti solo due freelance (o precari?) sono stati eletti al Consiglio Nazionale. E il coordinatore della Commissione Lavoro autonomo della FNSI, Maurizio Bekar, viene trombato. Una miseria. E loro applaudono”.
Una constatazione che non fa una piega e rispecchia in pieno la mia idea, illustrata mille volte su questo blog, del grave errore rappresentato dall’interpretazione estensiva del termine freelance, fino a ricomprendervi non solo gli effettivi liberi professionisti, ma tutta l’incerta, indecisa, mutevole galassia che include abusivi, cococo, cocopro, aspiranti, apprendisti, ingenui, illusi, dilettanti e ciarlatani. Con il conseguente rischio di inserire qualcuno di questi tra i rappresentanti di una categoria che non rappresentano.
E’ tuttavia come è stata affrontata la questione dei compensi a lasciarmi perplesso. E così mi è tornata in mente, a proposito, una missiva, mai spedita, scritta ad Alberizzi alcuni mesi prima del congresso proprio in merito sua alla proposta, avanzata (qui) in chiave di slogan congressuale, a proposito dei compensi dei freelance. Compensi da appaiare, secondo SB, al costo di un articolo vergato da un contrattualizzato. Eccola.
“Caro Massimo,
francamente mi stupisce sentire proprio te, dopo la tanta fatica fatta a suo tempo in Senza Bavaglio per cercare di circoscrivere professionalmente la figura del freelance, includere i precari tra i liberi professionisti.
Ma non è per questo che ti scrivo. E’ per il tuo recente post, sul sito di SB, sull’invocata alleanza congressuale contrattualizzati-freelance e sull’affermazione che, in presenza di compensi degni e certi, molti dei primi passerebbero volentieri tra i secondi.
Non ne dubito: lo credo bene che lo farebbero!
Mi pare tuttavia una prospettiva molto utopistica, per non dire fantasiosa. Anzi, fastidiosa e un pochino demagogica.
Innanzitutto, il compenso “certo” (nel se, nel quando e nel quanto) è per definizione una prerogativa del lavoro dipendente e non del lavoro autonomo. Ma poi la verità bisogna dirla tutta: e cioè che se (come peraltro auspico da sempre) il giornalismo libero professionale fosse davvero valorizzato e garantito con regole rigorose, da un lato darebbe sì ai giornalisti compensi dignitosi e una vita migliore, ma avrebbe come effetto inevitabile anche una tale contrazione del mercato dei freelance da espellere almeno il 90% di chi, attualmente, galleggia più o meno nella melma. Ripeto: a me il principio ve benissimo, chi è bravo sopravvive (bene) e chi è meno bravo muore (professionalmente parlando, s’intende).
Lanciare invece un messaggio in cui, in sostanza, si lascia credere che esista un teorico mondo di freelance in cui ci sono più soldi e più lavoro per tutti mi pare un tantino populista e degno di qualcuno che, se non erro, non è proprio tra le tue simpatie.
Massimo, è venuto il momento di parlare chiaro e dire che per l’80% di noi la professione non offre alcuna prospettiva.
Dopodichè parliamo pure del resto.
Ciao, Stefano”.
Ora che, ad assise conclusa, siamo al punto di prima, che si fa? Si resta in Fnsi? O si prende atto della realtà? O c’è qualche altra buona ragione per restare?