Il mio bilancio 2010: fatturato, -35%. Utili, -20%. Spese superflue, -40%. Tempo libero, +30%. Risparmio su costi indotti, +40%. Tempo perduto in auto, -25%. Spese in cene e pr inutili, -45%. Consumi di benzina, -24%. Consumi telefonici, -29%. Cura interessi personali: +28%. Ore impiegate a cercare di farsi pagare, -38% (ma era facile, essendoci poco da riscuotere). Qualità media della vita, +6%
Mia moglie dice che sono pignolo. Ma la verità è che l’abitudine a tenere una registrazione quotidiana di spese, costi, entrate etc è un formidabile strumento per capire non solo l’andamento dei propri conti economici, ma anche per monitorare il proprio tipo di vita e, in definitiva, la qualità della stessa.
Ebbene, il mio bilancio consuntivo del 2010 mette in evidenza una verità implacabile: sebbene in apparenza tutto sia andato peggio, alla fine non è così. Anzi. Se si esce dalla logica un po’ perversa che il segno “+” è sempre positivo e che il segno “-“ è sempre negativo, le conseguenze saranno sorprendenti.
Di quest’andazzo avevo avuto i sentori da un pezzo. Al punto che all’argomento avevo dedicato già tre post (qui, qui e qui) dal provocatorio titolo “Solo una sana e consapevole decrescita salva il freelance dallo stress e dalla crisi economica”. Ma vederlo confermato nero su bianco dalle inoppugnabili cifre che mi offre il foglio di calcolo è una soddisfazione che, effettivamente, non ha prezzo.
Pur tenendosi ben lontani da pauperismi di facciata e da inutili prediche moralistiche, la conclusione è una sola: la sobrietà paga. Nonostante i patemi e le riluttanze, rompere l’accerchiamento di quell’entropia artificiosa che, pian piano, ti prende e ti spinge ad accrescere inconsapevolmente la pressione su te stesso, le emergenze non emergenti, le ansie ingiustificate, le improrogabilità prorogabilissime, è non solo una necessità, ma un’opportunità.
Facendo i conti con calma ho così scoperto che, ieri, per guadagnare 100 ero costretto a tenere in piedi un perverso meccanismo di impegni, spese, lavoro che mi costava quasi altrettanto. Per pagare altri che facessero ciò che io, preso dal lavoro, non potevo fare, spendevo quasi quanto il lavoro stesso mi faceva guadagnare.
Sia chiaro: povero ero e povero rimango. Ma un sano ritorno sulla terra è altamente salutare per recuperare la dimensione delle cose.
Aveva senso, ad esempio, fare 15 viaggi Siena-Milano e ritorno all’anno, per un totale di 25 giorni lavorativi (senza contare stress, imprevisti, adattamenti, levatacce, rischi, usura dei mezzi e della mente, etc) andando in giro per redazioni alla ricerca di committenze sempre più improbabili e sempre peggio pagate? No. Aveva senso mantenere, alimentandole con telefonate, cortesie, incontri, bevute, cene, favori reciproci, rapporti personali del tutto improduttivi, che alla fine avevano l’unico risultato di mantenere solo se stessi? No. Aveva senso acquistare, per un valore di migliaia di euro, libri e giornali attraverso i quali tenersi professionalmente aggiornati su argomenti che, pubblicati alla mano, non interessavano più e, se interessavano, non compensavano nemmeno la metà delle spese sostenute? No. Aveva senso sobbarcarsi l’onere di assistere a decine di conferenze stampa che poi, per le ore che assorbivano, ti impedivano di avere il tempo per scrivere articoli e svolgere profittevolmente il tuo lavoro? No. Aveva senso, per restare nel “giro”, frequentare appuntamenti, convegni, manifestazioni a cui partecipavano colleghi che avevano il tuo stesso unico scopo, cioè essere lì per non uscire dal “giro”? No. Aveva senso scendere a compromessi o dover combattere per respingerli, lottando ogni volta con i tuoi capi e la tua coscienza, quando poi da tanto contrasto non scaturivano una soddisfazione in più, non un guadagno in più e nemmeno galloni, credibilità, autorevolezza, prestigio? No. Aveva senso rodersi il fegato, mobilitare avvocati, compilare carte bollate, minacciare e strepitare per farsi pagare da chi mai, o quasi, ti avrebbe pagato? No.
Ecco, alla luce di tutto questo il mio bilancio 2010 esce quasi in pareggio. Segno che quando di stava meglio forse così meglio non si stava. E’ solo che è passato un anno ancora. E questo pesa.