Tre anni di esperienza da discente e da docente mi hanno insegnato parecchie cose a proposito di come i corsi di formazione per l’OdG dovrebbero e potrebbero essere organizzati. Eccone un endecalogo, che spero di qualche utilità per chi ci guida.
Caro Ordine dei Giornalisti ed enti collegati,
ritardatari/prorogati a parte, con il 1 gennaio è cominciato il secondo triennio di formazione professionale obbligatoria.
Le mie considerazioni sulla proroga e sulle sanzioni agli inadempienti le ho già espresse qui e qui.
Oggi vorrei farvi invece, sulla scorta dei 78 crediti accumulati tra il 2014 e il 2016 partecipando attivamente e passivamente a plurimi corsi, undici sommesse proposte, o perfino preghiere, per far sì che il nuovo ciclo abbia la massima partecipazione e soprattutto la massima efficacia formativa.
1) TANTO PER FAR NUMERO. Considerate che – è fisiologico! – nella categoria ci sono quelli che i corsi li fanno tanto per prendere crediti e quelli che magari li fanno anche per imparare qualcosa e aggiornarsi davvero: avere ben presente questa realtà aiuta molto a scegliere temi, docenti, sedi, tempi.
2) TUTTI ALLA PARI? MA PER FAVORE. Come l’esperienza del primo triennio dimostra, a parole tutti partono alla pari ma nei fatti ci sono, tra i colleghi, abissi di preparazione, cultura generale e professionale, modi di esercizio della professione: forse, indicare per ogni corso il “destinatario principale” (es. neogiornalisti, autonomi, pensionati, redattori, specializzati, etc) aiuterebbe i discenti a orientarsi e a evitare il rischio che qualcuno si addormenti per la noia o, viceversa, che altri non capiscano nulla di ciò di cui si sta parlando.
3) LIVELLI DIVERSI = CORSI DIVERSI. Allo stesso modo, indicare almeno orientativamente il “livello” del corso (base, medio, etc) ottimizzerebbe l’uditorio e eviterebbe in molti la sensazione ex post di irritanti perdite di tempo.
4) SAPER INSEGNARE. Insegnare richiede una sua professionalità e un mestiere che non tutti, a prescindere dalla loro competenza, hanno: è necessario selezionare i docenti in base anche alla loro capacità di spiegare, parlare, coinvolgere per evitare sopori collettivi.
5) OCCHIO AL TEMPO CHE FU. E’ vero, l’esperienza vissuta e le suole consumate sono una componente fondamentale della nostra professione, ma far illustrare il giornalismo a chi l’ha imparato o già lo praticava oltre mezzo secolo fa equivale a spiegare che le auto si mettono in moto con la manovella.
6) DAL GIORNALISMO AI GIORNALISMI. Il giornalismo di oggi (e anche di un passato nemmeno troppo prossimo) è fatto di specializzazioni, tipologie, diverse periodicità: se il modello proposto è sempre e solo quello del cronista di quotidiano, non si insegna nulla a chi fa altro e si dà un’idea sbagliata del mestiere, che è complesso.
7) LA DEONTOLOGIA E’ SOLO “PALLOSA”? Va fatto capire, anche attraverso i corsi e le lezioni ben fatti, che la deontologia, pilastro del giornalismo, non è solo una materia un po’ perbenista e di una noia mortale, come da molti viene percepita, ma un argomento vivace dalle molteplici estrinsecazioni, soprattutto in un mondo come quello odierno in cui informazione e pubblicità tendono a confondersi e ad essere confuse.
8) INTERDISCIPLINARITA’, PLEASE. L’interdisciplinarità è un altro dei fondamenti della professione 2.0: sia in termini di media utilizzati, sia in termini di capacità di attingere a competenze estranee a quelle a cui si fa ricorso abitualmente. “Sapere un po’ di tutto” almeno nei campi dei quali più spesso capita di occuparsi o che sono prevalenti nella propria area geografica di competenza è pertanto di massima utilità. Sarebbe bello che ciò trovasse riflesso anche nei corsi di formazione: tanto per fare un esempio, non mi parrebbe inutile che chi segue la città di Prato sapesse qualcosa in più di lingua, società, cultura, geografia cinesi. Non vi pare?
9) TUTTO SEMPRE GRATIS? Massima gratuità dei corsi: giusto il principio, ma se 20 o 30 euro fossero giustificati dalla presenza di un relatore particolarmente capace o prestigioso o competente, che viene da lontano e quindi ha un “costo”, non mi parrebbe una rapina.
10) PROGRAMMI CHIARI, CORSI LUNGHI. Indicare sul programma (e sul Sigef) con la massima ampiezza i docenti, i temi, il “livello” del corso, i destinatari preferenziali del medesimo eviterebbe la corsa all’accaparramento del posto, che spesso rende “sold out” l’iscrizione a lezioni dove poi si presentano la metà degli iscritti, rubando il posto a un sacco di gente che poteva essere interessata davvero.
11) REALISMO E AUTONOMIA. Infine, prendiamo atto che – piaccia o meno – la professione va sempre più verso una modalità di esercizio “autonoma” o “precaria”: moltiplichiamo quindi i corsi che, al di là della teoria del giornalismo, insegnino come districarsi praticamente nella giungla contrattuale, previdenziale, fiscale, economica e burocratica con cui chi svolge davvero questo lavoro si trova ogni giorno a che fare.
Grazie per l’ascolto.