Lo chef Stefano Frassineti posa i mestoli e prende la penna, mette in mano a Sara Giusti la matita e insieme tirano fuori una ministrenna natalizia che sta in bilico tra il libro di novelle e il manuale di cucina. Di scena l’invenzione della schiacciata, sullo sfondo della Battaglia di Campaldino tra fiorentini e aretini.

Un libro di ricette? Un libro di novelle? Un piccolo capolavoro di artigianalità casereccia? Un oggetto di puro e sottile piacere, da sfogliare e delibare di tanto in tanto? Una strenna natalizia diversa dal solito? Oppure un divertissement personale, pieno di verace passione?
O forse, come il suo autore confessa alla fine, solo “un tributo al mio lavoro quotidiano”?
Difficile, insomma, dire cosa sia davvero questo “Si chiamerà schiacciata”, il libello grande e sottile come un album, fitto e denso come un diario o un quaderno degli appunti, pieno zeppo di disegni, vignette, fumetti, che mi è caduto oggi tra capo e collo, con la solita posta tardiva.
Ma di qualunque cosa si tratti, vale la pena di possederla.
Perché rilassa, diverte e fa sorridere.
E’ la storia della schiacciata della Consuma. Secondo alcuni, “la” schiacciata (altrimenti detta, secondo le diverse zone della Toscana, focaccia, ciaccino, schiaccia, stiaccia eccetera). Quella all’olio (“bono“, raccomanda lo chef).
Una storia tutta particolare però, direi romanzata, scritta con la levità di una novella e l’efficacia di un racconto fatto a veglia, davanti al canto del fòco. Ci si mescolano vicende storiche e immaginarie, echi medievali e atmosfere ottocentesche, castelli e fattorie, clangori di epiche battaglie e profumo di pane. E intorno fioriscono venti ricette tradizionali della montagna e dell’alta collina, quella dei passi e dei gioghi, dei viandanti e degli eserciti in transito. Non semplicemente descritte ma raccontate, a volte perfino ragionate, infarcite di excursus e di parentesi: ora tecniche, ora logiche, ora aneddotiche. Scritte da uno che le conosce bene e presentate da un altro che la cucina della tradizione ce l’ha nel sangue, proprio nel senso letterale del termine, visto che è Ricciardo Artusi, discendente del grande Pellegrino di cui proprio l’anno scorso si è celebrato (sì, anche con il nostro pellegrinaggio, vedi ad esempio qui) il centenario della morte.
L’autore, anzi l’artefice di tutto è invece un omone dall’aria ispida, il cuore tenero e la mano felice (tra i fornelli): Stefano Frassineti da Pontassieve, oste per vocazione, cantore della cucina e dei vini del territorio. Nonché, è ovvio, pellegrino artusiano anch’egli.
Il quale mi ha sorpreso mandandomi per Natale questo che a me pare soprattutto un omaggio alla fantasia e al piacere di metterla al servizio delle cose pensate a lungo nel tempo libero, senza ansie né scadenze.
E così, deposti i mestoli, in autunno il Frassineti si è trasformato in cantastorie e ha messo in pentola un po’ di tutto: la battaglia di Campaldino e i venti di paura che percorrevano il contado al confine tra domini fiorentini e aretini in quel caldo giugno del 1289 che decise il destino di mezza regione, una famiglia di probi locandieri filoguelfi, il generoso vino di Nipozzano. E Gilda, giovane ma già rinomata “musa del pane” della Consuma. Una musa talmente gelosa della propria arte da preferire l’ipotesi di sacrificarsi alle soldataglie nemiche anziché concedere loro il privilegio di assaggiare le preziose pagnotte del suo forno.
E fu proprio così che, in un immancabile lieto fine, fu inventata – un po’ per caso e un po’ per sorte – la famosa schiacciata (il dettaglio del come lo lasciamo alla scoperta del lettore).
Resta una domanda di fondo: come e dove ci si procura il libello?
Francamente, non lo so. Dovrei chiamare Stefano Frassineti e riportare qui le sue risposte, per completezza d’informazione.
Invece ho deciso che andrò a trovarlo per domandarglielo di persona, nella sua “Toscani da sempre”, deliziosa locanda con cucina nel centro storico di Pontassieve. Dove il nostro esercita il proprio lavoro e sfoga la sua passione, che è appunto cucinare. Piatti della tradizione, mai ovvii però e mai banali perché riletti (“reinterpretati”? No, grazie) con la lente dei buoni ingredienti, del riequilibrio dei sapori, della riscoperta senza desiderio di clamore. Una gran cantina, un bell’ambiente, sei camere intime e confortevoli, un’atmosfera di singolare cordialità.
Il Frassineti del resto ha le idee chiare: gli piacciono la qualità e le cose buone, ma non la retorica. E‘ per questo dice che, all’utopia della cucina “a km zero” preferisce quella dei “cento km”: “…Perché questo può ragionevolmente essere un buon raggio di azione, forse potrebbe essere anche una soluzione intelligente per creare un sistema semplice ma efficace (senza “scomodare” le grandi multinazionali americane) per promuovere le nostre terre e la nostra agricoltura. Capace di produrre eccellenze alimentari che ci hanno reso famosi in tutto il mondo. E forse potrebbe essere anche un modo di uscire dalla crisi di identità della nostra ristorazione, troppo spesso impegnata a rincorrere improbabili modelli”.
Questo è il Frassineti-pensiero. Vista la mole, meglio non contraddirlo. E dedicarsi invece alla lettura del suo libretto, o anche sono a guardare le figure: l’inchiostro ha il colore del vino

Toscani da sempre – Locanda con cucina
Via F.lli Monzecchi, 13/15
50065 Pontassieve – Firenze
Tel. 055 8392952
Cell. 339 8808658
43-46-30-17 Latitudine Nord 11-26-18-36 Longitudine Est
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