E’ un film già visto migliaia di volte, ma ciononostante nell’ambiente non tutti hanno capito in che situazione siamo nella libera professione. Oggi, dopo sette mesi di silenzio, mi decido di scrivere a un committente per un pagamento. Sentite che mi rispondono…

Stamattina per caso mi casca l’occhio (per non deprimermi lo guardo il meno possibile) sul pingue faldone dei miei crediti. Lo apro e noto che da dicembre aspetto un pagamento per un servizio pubblicato e fatturato in quel mese. Un po’ sorpreso (meno) e un po’ seccato (di più), mando un’email anodina all’editore, dicendo: “Gentile amministrazione, sollecito il saldo della fattura x (allegata) relativa a servizio y, di cui si attendeva il pagamento nel febbraio scorso. In attesa di un cortese riscontro, saluto cordialmente”.
Passa un’ora e, con inusuale rapidità, ottengo risposta. Altrettanto anodina, devo ammetterlo. Dice: “Salve, la informo che il numero di dicembre sarà saldato a settembre. Cordialità, Tizio”.
Olè. Nove mesi, come un parto. Solo che attendere tutto questo tempo dopo il concepimento è normale, mentre qui è patologico. Anche perchè quando (mica sono nato ieri) al momento della committenza mi accordo su modi, scadenze, rimborsi e compensi, la prima cosa che chiedo è sempre chiarezza sui termini di pagamento. E ogni volta ottengo la medesima risposta, “sessanta giorni al massimo”. Sia chiaro, so perfettamente che non è vero. Ma qui è l’unilateralità che è fastidiosa. Non è che – con espedienti pietosi, vabbene – si scusino per il ritardo, farfuglino, assicurino che faranno il possibile, accampino contrattempi, si giustifichino in qualche modo. Macchè. Te lo comunicano e basta. Come il disco di un centralino o la velina di una questura.
Poi vai alle riunioni del sindacato sul lavoro autonomo, riascolti le stesse bischerate che senti da vent’anni, ti incazzi (prima con loro, poi con te stesso che ci sei andato), assisti a piagnistei altrui che trovano ampia eco (magari giustificata: ma allora solo se mi lamento ho diritto all’attenzione?) e infine ti viene in mente la copertina di Nursery Crime, quella che ho messo qui sopra. Dove la nurse simboleggia l’editore che paga a nove mesi, il crime è il giornalisticidio e le teste mozzate sono le nostre.
E la zelante cameriera in secondo piano, quella coi pattini ai piedi? E’ l’Fnsi, ovviamente. Una campionessa di veroniche.