Come candidato, sono sbalordito: pensavo di essere uno dei pochi (anche e soprattutto scorrendo l’elenco dei miei “concorrenti”) a sostenere e rappresentare la libera professione e scopro invece che tutti ne parlano, ne sono i paladini, si ingegnano a proporre soluzioni per l'”annoso problema”. Ma davvero? E che ne sanno, costoro, dei liberi professionisti, visto che gran parte di questi li sbeffeggiavano come non-giornalisti, o giornalisti di serie B, o poveri mentecatti?
E’ venuto il momento di togliersi qualche macigno dalle scarpe…

Non aver capito in tempo – per distrazione, o perchè assorti in altre faccende e prospettive, o ancora perchè si è pensato di sapere tutto senza sapere di ignorare invece qualcosa di importante, o più semplicemente per banale miopia – la direzione in cui le cose stavano andando non è di per sè una colpa. O comunque non è una colpa così grave da poter essere rinfacciata in eterno.
Ma neppure è un merito, nè qualcosa di cui poter menare vanto, nè una macchia totalmente trascurabile per chi si candida a rappresentare una categoria e pretende di saperla rappresentare tutta.
Prendiamo i giornalisti. Domenica 23/5 ci sono le elezioni per il rinnovo dei consigli nazionale e regionali e una delle parole d’ordine, anzi uno degli slogan più usati da tutti gli aspiranti consiglieri è “tuteliamo i freelance”.
Bene. Anzi, male. Perchè chi scrive è giornalista freelance per scelta (una scelta e una vocazione pagate e mantenute a caro prezzo, nel disinteresse generale) da quasi 25 anni e della materia, come dire, “se ne intende”.
Me ne intendo tanto e bene da poter affermare con certezza (e accetto sull’argomento qualsiasi tipo di confronto con chiunque) che:
1) per l’80% degli odierni candidati che si riempiono la bocca con e si stracciano le vesti per il futuro della libera professione, fino a ieri i freelance erano “disoccupati cronici” per i quali l’unico futuro possibile era “suboccuparsi dei service” (ipsi dixerunt);
2) il 90% dei candidati ha le idee del tutto confuse su cosa realmente sia e in che cosa realmente consista il lavoro di un libero professionista: c’è chi lo scambia per un “pubblicista”, chi per un “collaboratore esterno”, chi per un “precario”, chi perfino per un “abusivo”, senza capire che il freelance può essere tutte queste e nessuna di queste cose insieme;
3) l’80% dei candidati, ignorando cosa sia un freelance, ignora anche quali siano le reali esigenze dei freelance e i provvedimenti da prendere per tutelarli;
4) perfino il 50% dei candidati che si autodefiniscono “freelance” ignora il significato della parola e spesso si autoattribuisce una definizione professionale che non ha.
Proviamo a fare due conti. Al 31/12/2009, in Toscana risultavano iscritti all’Albo 5.617 giornalisti: di cui 1005 professionisti, 3924 pubblicisti, 72 praticanti, 15 stranieri e 647 iscritti al cosiddetto “albo speciale”. Di questi 5mila e passa, quanti potevano essere definiti freelance? Il balletto delle cifre comincia qui, perchè ognuno (e certamente ogni candidato alle imminenti elezioni) ha della categoria una sua personale accezione.
Peccato che lo stesso Ordine abbia dato, in un documento redatto (per fortuna!) da un gruppo di lavoro composto anche da tre freelance che conosco e stimo da anni (Nicoletta Morabito, Fabio Gibellino e la nostra, nonchè candidata, Silvia Ognibene), una definizione (vedi qui) abbastanza calzante del giornalista libero professionista: è freelance “il giornalista professionista che esercita la professione in modo esclusivo e in forma autonoma, indipendente e senza avere rapporti di lavoro subordinato. E’ definito freelance anche il giornalista pubblicista che esercita la professione in modo prevalente (pari cioè a oltre la metà del reddito derivante da lavoro) senza che abbia alcun genere di rapporti di lavoro giornalistico subordinato. Il giornalista freelance è iscritto alla Gestione Separata dell’Inpgi e opera nel rispetto dei principi costituzionali di libertà di espressione, di pluralismo e delle norme giuridiche e deontologiche previste per la professione giornalistica”.
Manca, dettaglio di non poco conto ma implicito nell’assunto, che il freelance è (deve!) essere titolare di partita iva in quanto la libera professione implica una pluralità di rapporti, il che vuol dire egli che non può lavorare per un unico committente, essendo ciò sintomo dell’esistenza di un rapporto di dipendenza camuffato da collaborazione esterna.
Tutto chiaro? Mica tanto. Se quanto sopra è vero, come si fa, se non per malafede, a definire “freelance” i giornalisti che da anni fanno gli abusivi nelle redazioni, con la spesso vaga e ultradecennale speranza di essere assunti? O quelli che, con lo stesso miraggio, hanno un’unica testata come committente? O ancora quelli che, campando d’altro, fanno semplicemente i collaboratori esterni, mansione a mio personale giudizio più che degna e decorosa, anche senza essere gabellata per libera professione?
E di cosa, anzi in cosa i freelance hanno bisogno di essere tutelati dall’Ordine?
La risposta nel prossimo post, non vorrei aiutare adesso certi miei smarriti antagonisti…