Milanese, 45 anni, è caduto durante le sparatorie tra esercito e camicie rosse. Era in Thailandia per una rivista.
Domanda 1: era assicurato? E l’assicurazione era del giornale o gravava tutta sulle sue spalle di libero professionista? E’ giusto questo?
Domanda 2: il suo compenso era proporzionato al rischio, alla durata, al tipo, alla qualità della committenza?
Domanda 3: chi lo ha mandato lì si è preoccupato dei pericoli e delle precauzioni che andavano prese per proteggere il collaboratore?
Domanda 4: Polenghi era un giornalista vero o il “disoccupato cronico” dipinto da molti colleghi al caldo delle redazioni?
Domanda 5: sarà il caso che l’Ordine prenda atto dell’esistenza e delle esigenze specifiche dei liberi professionisti, non da oggi colonna portante dell’informazione?
Domanda 6: tra i giornalisti ci sarà qualcuno che alle imminenti elezioni per l’OdG voterà me e i tanti colleghi in tutta Italia che si candidano per sostenere anche queste cose?
C’è perfino chi fa dell’ironia sul mio ventennale impegno a difesa della categoria a cui appartengo per scelta, quella dei freelance. Dicono che ho il “sacro fuoco” della libera professione. Ma io vorrei sapere quanti di costoro hanno provato sulla propria pelle le minacce affrontate da soli e senza rete, gli arresti, le fucilate, i pericoli quotidiani legati al viaggiare, al muoversi, a incontrare gente, a cercare notizie, la frustrazione di portare nelle redazioni idee e informazioni spesso ascoltate con sufficienza e malavoglia (“non è sulle agenzie”, tipica risposta, oppure “ma sei sicuro?”), la rabbia di dover lottare per farsi pagare non dico il giusto, ma il minimo (e dopo mesi, a volte anni di attesa), per farsi rimborsare spese ingenti affrontate per svolgere l’incarico e magari contestate perché “manca la ricevuta” (vi immaginate un caporale della polizia egiziana che firma una ricevuta a fronte della mazzetta che gli allungo per entrare in zona proibita?).
E ancora: c’è bisogno di occuparsi di cose pericolosissime e importantissime per essere freelance degni di rispetto? O basta, come credo, essere giornalisti seri, preparati, consapevoli, responsabili anche se ci si occupa di moda, di auto, di vino, di costume, di cultura, di stile di vita, di politica?
Perchè si fa finta di non sapere che il 70% dell’informazione italiana è oggi prodotta da giornalisti esterni alle redazioni e che il 50% di questi sono, tecnicamente parlando, liberi professionisti. Cioè (la definizione è del gruppo di lavoro istituito dall’OdG) “il giornalista professionista che esercita la professione in modo esclusivo e in forma autonoma, indipendente e senza avere rapporti di lavoro subordinato. E’ definito freelance anche il giornalista pubblicista che esercita la professione in modo prevalente (pari cioè a oltre la metà del reddito derivante da lavoro) senza che abbia alcun genere di rapporti di lavoro giornalistico subordinato. Il giornalista freelance è iscritto alla Gestione Separata dell’Inpgi e opera nel rispetto dei principi costituzionali di libertà di espressione, di pluralismo e delle norme giuridiche e deontologiche previste per la professione”?
Finchè l’Ordine ruoterà solo attorno al mondo – rispettabilissimo, sia chiaro, e meritevole – delle redazioni e dei contrattualizzati sarà impossibile rappresentare l’unità dei giornalisti e quindi difendere il senso stesso della categoria dai molti, talvolta giusti attacchi a cui essa è sottoposta.
Da questo errore è già uscita a pezzi (eufemismo) l’FNSI.
Facciamo in modo che questo non accada presto anche all’OdG.