Ci ha lasciato Enrico Bosi, prima di tutto un amico,  giornalista e politico fiorentino. Ci univano il vino, i viaggi e l’ironia. A lungo a La Nazione, era nato nel 1939.

 

Ci siamo visti l’ultima volta – ricordi? – un paio d’anni fa, al funerale di un comune amico e collega. Mi paresti un po’ stralunato, in verità. Ma forse era per il gran caldo di quel luglio fiorentino.

Non ti vidi invece, ma probabilmente c’eri, l’anno scorso, a quello di Antonio, il tuo alter ego enoico. Bosi&Villo, vi chiamavano.

Domani invece, in questo freddo dicembre, andrò purtroppo a un altro funerale: il tuo.

Impossibile resistere ai ricordi.

Fine dei gaudenti anni ’80 e primi anni ’90, quando dietro al bancone del bar dell’Helvetia & Bristol, allora diretto dal mitico Pietro Panelli, troneggiavano le bottiglie di whisky pregiato intestate personalmente a te e al tuo compare. Io ero alle prime armi, tu solido a La Nazione, ma ci siamo presi subito: il Chianti, i libri, il vino, i viaggi. Mi piacevano quei tuoi modi eleganti e la tua causticità controllata, ma tagliente. I commenti a mezza bocca, la voce tonante del Villo, le tue alzate di sopracciglio che dicevano più di ogni parola. Non poche le zingarate enoturistiche, col naso dentro al bicchiere. Quella volta nel ristorantone in centro, quando il rosso sapeva di tappo ma nessuno, tranne noi, che avesse il coraggio di farlo presente al produttore. Non ci piaceva il chiasso, nemmeno il conformismo però. A te piaceva la politica, a me no. Hai fatto a lungo anche quella e dalle sponde meno scontate.

Mi spiace di non aver sottomano il famoso cassetto dal quale, ogni tanto, mi capita di tirare fuori vecchie foto dimenticate. Ne avrei certamente trovata una di noi due con un sorrisetto beffardo stampato in viso e un bicchiere in mano.

So long, Enrico.