Un pungente articolo di Sergio Rizzo ridicolizza i (molti) punti deboli dei corsi di formazione obbligatoria dell’OdG. Ma tradisce anche una visione poco attuale della professione.
Sul Corriere di oggi (qui) Sergio Rizzo pubblica un pungente articolo sui corsi di formazione obbligatoria per i giornalisti, mettendone in luce assurdità e contraddizioni.
Tutta roba vera, per carità.
Ma molte delle contestazioni sono vecchie (io ad esempio le sottolineai già qui e qui e di mesi ne sono passati dodici). La visione che alla fine emerge del problema è inoltre un po’ semplicistica. E, soprattutto, è obsoleta quella che della professione dimostra di avere l’articolista.
“Norma assurda (quella sulla formazione continua, ndr) – scrive infatti Rizzo – perché la direttiva ha lo scopo evidente di tutelare i clienti delle professioni, mentre i giornalisti non hanno “clienti” in senso stretto».
Mica vero.
Prima di tutto, una delle finalità più rilevanti della direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali, quella che tra l’altro impone a ogni professionista (nel caso italiano, gli iscritti agli albi) anche l’obbligo della formazione continua, è di tutelare tanto i professionisti stessi quanto in generale la comunità. E non solo i “clienti”.
In secondo luogo, cosa molto più importante, chi esercita il giornalismo in forma autonoma, chi cioè è un libero professionista dell’informazione, i clienti ce li ha eccome. Sono proprio gli editori, con i quali il freelance instaura un perfetto rapporto di committenza. E al cospetto dei quali (lo dicono la direttiva Ue e la legge italiana che la recepisce, non io) egli è tenuto a garantire la propria capacità professionale sia in termini di continuità di aggiornamento, sia di assunzione di responsabilità. A prevedere questa seconda garanzia è destinata infatti un’altra disposizione della direttiva, quella che sancisce per tutti l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa per i danni eventualmente causati al committente.
Sostenere quindi che, in quanto non aventi clienti, i giornalisti non sarebbero veri e propri professionisti e quindi nemmeno soggetti all’obbligo formativo, mi pare una mezza castroneria. I giornalisti, invece, sono professionisti in quanto iscritti a un albo previsto dalla legge e, se autonomi, pure in quanto hanno clienti in senso tecnico.
Quest’abbaglio, se abbinato ad amenità provenienti da altre fonti, produce effetti dialettici grotteschi. «Il fatto di essere iscritti a un Albo fa dei giornalisti italiani gli unici in Europa soggetti a quell’obbligo», riporta ad esempio Rizzo citando le parole della segretaria dell’Ordine del Lazio, Silvia Resta.
Beh, sapete con quale argomento proprio l’OdG tenta di sostenere che i giornalisti (tutti: contrattualizzati e autonomi) non sono tenuti all’obbligo dell’assicurazione professionale prevista dalla medesima, famigerata direttiva europea? Dice che i giornalisti “non hanno clienti”.
Insomma, il soggetto che, per il fatto stesso di esistere, sarebbe secondo qualche suo esponente responsabile dell’estensione ai giornalisti dell’obbligo di formazione continua è quello stesso Ordine che, per altri versi e in relazione alla stessa norma di legge, invoca per i giornalisti l’esenzione dall’obbligo di assicurazione professionale.
Un bel cortocircuito, non c’è che dire.
Poi non meravigliamoci se nessuno ci si raccapezza e si pubblicano sciocchezze.