Cavalcando maliziosamente l’illusione ottica che in apparenza rende uguali soggetti diversi, qualcuno cerca di sfruttare il malcontento chiamando i lettori allo sciopero contro gli editori il 7 e 8 ottobre, per la “Carta di Firenze”. Forse per evitare che si scioperi contro il vero responsabile, un sindacato inadeguato e colpevole.

Sull’onda dei preparativi per le giornate del 7 e 8 ottobre a Firenze (“Giornalisti e giornalismi”, una sorta di stati generali della professione, info qui e qui, nelle quali io stesso sono coinvolto) sono sorte numerose iniziative collaterali, tutte finalizzate a richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori e dell’opinione pubblica sul problema dell’inadeguatezza del quadro normativo, sindacale, fiscale ed economico dell’odierno giornalismo. E in particolare di quella sua cospicua fetta rappresentata dai cosiddetti “non contrattualizzati”, che include liberi professionisti, collaboratori esterni, precari, etc.
Un nodo che sta in effetti strangolando tanto l’informazione quanto quelli che ad essa lavorano, cioè appunto i giornalisti.
Tra le iniziative preparatorie lanciate in questi giorni via facebook c’è anche quella dello “sciopero dei lettori”, diciamo un’astensione di solidarietà dalla lettura dei giornali in concomitanza delle giornate fiorentine. Titolo “Io non leggo chi sfrutta”.
L’analisi che precede le motivazioni dello sciopero è certamente condivisibile. In sintesi: oltre il 50% dell’informazione pubblicata ogni giorno è frutto del lavoro di non redattori. Se essi si fermassero, i giornali uscirebbero pieni di “buchi” o non uscirebbero affatto. Ciononostante, i giornalisti che producono questa enorme mole di lavoro sono privi di ogni tutela e pagati poco o nulla, anche dalle testate che ricevono dallo stato pingui contributi.
Quelle che non sono condivisibili sono le conclusioni (frutto di un abbaglio, non so quanto involontario), che tendono a confondere tra loro figure, rapporti contrattuali e tutele legali spesso inconciliabili, ma presentate ai lettori come se invece fossero un unicum.
Eccone alcuni esempi. In mancanza di norme, si può parlare di “sfruttamento”? Secondo me no. Gli editori fanno ciò che il quadro normativo gli consente. Allora la colpa è loro o di chi dovrebbe garantire una tutela ai lavoratori, cioè il legislatore e il sindacato? Il 50% del pubblicato è frutto di “precari dell’informazione”? Ma quando mai. Qui si confonde il precariato con la precarietà. I precari sono i titolari di un contratto a termine, una categoria ben precisa. Non sono “precari” né i collaboratori esterni, né i liberi professionisti. Sono forse precari i “falsi freelance”, cioè i giornalisti che per continuare a lavorare con l’unica testata per la quale scrivono hanno scelto e/o sono stati costretti a prendere una partita iva (questo è in vero punto dolente, vedi qui).
Risultato di tanto caos concettuale?
Un’enorme confusione di ruoli e profili che non giova a nessuno e danneggia tutti. Ed è anzi, a mio parere, una delle cause più profonde del malessere della categoria.
In quanto freelance per scelta e vocazione, io ad esempio non sono un lavoratore a cottimo e non mi sento sfruttato. Mi sento casomai preso in giro, e offeso, da un sindacato che si autodefinisce “mio” e “unico” ma che poi ignora da sempre la categoria alla quale appartengo.
Con il grottesco paradosso che adesso la crisi dei freelance è strumentalizzata da un sindacato cronicamente latitante il quale, nell’affannoso tentativo di recuperare una credibilità irrecuperabile, cerca di pescare nel malcontento generale spacciando per “precari” (cioè, tecnicamente, i titolari di contratti a termine) tutti quelli che lavorano nell’informazione senza un contratto a tempo indeterminato, facendo così ulteriore confusione, danno e – ma sì, diciamolo – disinformazione.
I freelance sono quelli che lavorano per più testate, non per una sola, sennò sarebbero collaboratori e/o abusivi camuffati con la partita iva. I freelance sono quelli che rifiutano i pagamenti troppo bassi, perchè con il loro lavoro ci campano e con i pezzi a 25 euro non si campa. I freelance non sono nè migliori nè peggiori degli altri, ma sono solo differenti, hanno cioè una loro specifica fisionomia professionale e far finta che questo non sia vero è un danno per tutti, a cominciare dai precari.
Per questo io, il 7 e l’8 ottobre, non sciopererò affatto contro i giornali, né da lettore e né da giornalista.
Sciopererò invece, e inviterò tutti a farlo, contro il sindacato e contro quei colleghi ciechi che non si rendono conto della realtà. Ovvero che il male sta principalmente in noi e nei nostri organismi e non nel solito “cattivo”.