Ovvero geremiade giornalistica: sto meditando il divorzio dalla mia professione, perchè mi sono stufato di essere carne e di essere scambiato, mescolato, abbinato col pesce o viceversa.
Il dubbio è infatti, come si usa dire, amletico: quanto bisogna prendere le distanze da persone e ambienti di lavoro con i quali non solo ti trovi sempre meno in sintonia, ma che, a un certo punto, avverti di essere in totale divergenza se non in aperto contrasto o addirittura conflitto rispetto alle tendenze concordemente accettate dall’ambiente medesimo?
E’ un quesito che, nel mio lavoro di giornalista, mi pongo sempre più spesso, trovandomi con crescente insofferenza a intercettare non solo clamorosi casi di doppia morale, ma di plateali invasioni di campo e di simulazioni che in qualunque altro settore sarebbero ritenute intollerabili. Nel nostro, invece, no: noi siamo democratici. O bischeri. Oppure fintobischeri.

Coll’aggravante che il sistema non solo non ostacola, ma tollera e perfino agevola l’andazzo confusionario.
Succede insomma un po’ come quando, nella sua algoritmica stolidità moralistica, FB scambia le opere d’arte di nudo con le immagini porno e quindi mette tutto nello stesso concone. Solo che, nel mio caso, il senso è quello opposto: io di stare nel concone non lo accetto, nè sopporto di vedere gente che fa un altro lavoro galleggiare ambiguamente nel mio, tra l’indifferenza generale e inclusa quella di chi dovrebbe prevenire, vigilare, sanzionare.
Se chiunque lavora (diciamo quasi, via), merita rispetto in quanto, appunto, lavora, occorre che il medesimo rispetto venga da costui osservato e fatto osservare verso chi di lavoro ne fa un altro. E la prima forma di rispetto è non invadere la professione altrui, non millantarsi per ciò che non si è, non gabellare i surrogati per gli originali. La seconda forma di rispetto, indiretta ma non meno importante, sarebbe che chi per lavoro ha a che fare con me non pretendesse di mescolarmi con chi fa un lavoro diverso, incompatibile col mio. Io non faccio reclame e pretendo, sottolineo pretendo, di non essere confuso professionalmente con chi la fa: innanzitutto con chi la fa esplicitamente e poi pure con chi la fa più o meno di nascosto.
Semplicemente svolgiamo attività diverse: perchè dovremmo trovarci accanto o essere messi accanto per forza?
Se da questo sistema proprio non si può divorziare, sia consentito almeno di vivere da separati.

Ma nella stessa casa, no!