L’aumento dei giornalisti che passano a fare uffici stampa è costante: ma anche questo settore pare ormai sul punto di collassare tra saturazione del mercato, confusione di ruoli, concorrenza selvaggia e compensi in conseguente caduta libera.

 

Ho sempre detto, e confermo, che quello di ufficio stampa è uno dei lavori più difficili e ingrati che esistano. Mille pressioni da ogni lato, missioni impossibili, snobismo dei colleghi, committenti incapaci di capire, spesso ciechi e sordi.
Eppure è un settore da sempre gettonatissimo.
La spiegazione di ciò, finora, era semplice: essendo ben pagato (o, diciamo, pagato meglio che scrivere articoli), è stato per decenni per tantissimi giornalisti l’unico modo di sbarcare il lunario, tra acrobazie deontologiche ed equilibrismi professionali a volte, bisogna ammetterlo, nemmeno gestiti benissimo.
La senzazione però è che anche questo malgodi sia sul punto di collassare.
Eccone alcuni sintomi:
– il numero di chi fa uffici stampa è ormai quasi superiore a quello di chi scrive articoli o svolge ambedue le attività, col risultato che l’addetto stampa è costretto a relazionarsi e a invitare alle sue conferenze chi fa il suo stesso mestiere ed è, quindi, pure un potenziale concorrente (se non un consulente della concorrenza);
– il maggior conflitto di interessi si sposta così, paradossalmente, da chi fa uffici stampa a chi partecipa alle conferenze stampa, in un esiziale cortocircuito;
– per le ragioni dette prima, il numero di chi esce dal giornalismo scrivente e si butta in quello del facente scrivere continua ad aumentare nonostante i palesi scricchiolii, con un catastrofico effetto-saturazione del mercato, caduta verticale dei compensi e caducità assoluta degli incarichi;
– la parallela crescita della domanda di “comunicazione”, e quindi di committenze a 360°, è solo apparente: in realtà si tratta in gran parte della reazione emulativa di chi non ha nulla da comunicare ma si è convinto (o è stato convinto) di averlo, donde la falsa sensazione di necessità (“consumismo comunicativo“);
– rebus sic stantibus, si moltiplica il numero di chi ingaggia addetti stampa pretendendo che essi “garantiscano” uscite sui media e visibilità, senza capire che la cosa è non solo improbabile, ma che acquistando spazi redazionali o pubblicità si farebbe prima, spendendo pure meno;
– l’infiltrazione di blogger, influencer e altre figure trasversali (senza qui entrare nella delicata materia) nelle mailing stampa è cosa consolidata e vanifica la fondamentale funzione dell’ufficio stampa (cioè, da collega, fare da tramite con i colleghi), il cui profilo invece così si dissolve e trasforma il professionista in un generico pr;
– quanto appena detto comporta che, giustamente, i pr si sentano a loro volta autorizzati a controinvadere il terreno degli addetti stampa, moltiplicando ulteriormente la concorrenza e la confusione tra i ruoli;
– va da sè che, in questo pandemonio, il livello medio tanto della professionalità quanto della soddisfazione del committente, e quindi della durevolezza degli incarichi, precipiti per tutti.
Come al solito spero di sbagliarmi, ma temo di aver ragione.