Ad Alghero, dal 25 al 27/9, si terrà un intrigante convegno sul potere normativo delle immagini, comprese quelle culinarie. Come e perchè ce lo spiega il relatore e collaboratore di AF Beppe Lo Russo.

 

Dal 25 al 27 settembre prossimi, ad Alghero, si svolgerà un convegno organizzato dal dipartimento di Architettura, Design e Pianificazione urbana dell’Università Di Sassari. E’ un congresso internazionale (il programma è qui) dedicato all’esplorazione di tutti quei casi in cui un disegno, un pittogramma o una fotografia riescono a istituire o comunicare un obbligo o un divieto senza ricorrere alla comunicazione verbale o scritta. Quando, insomma, la mediazione è soltanto visiva. Nei tre giorni si alterneranno, ognuno con un suo particolare approccio al tema, filosofi, semiologi, psicologi e giuristi. I relatori provengono da discipline come la filosofia della rappresentazione pittorica e dell’iconicità, la psicologia cognitiva, la filosofia del diritto, il diritto amministrativo, l’urbanistica, le scienze grafiche e visive. Qualche nome, fra gli altri: Barbara Tversky, Valeria Giardino, Gabriel Greenberg, Jade Nijman, Patrick Maynard. E l’amico, collega e collaboratore di AF Beppe Lo Russo.

Potevamo non fargli qualche domanda per capire l’arcano?

 

Beppe, dunque, che c’entra la normatività visiva con la cucina? E che c’entri tu?

Se ne parlerà il 26. O meglio, si parlerà della normatività visiva nelle opere culinarie. Sono stati invitati a intervenire nomi noti come lo chef Davide Scabin, autore di un assai chiacchierato Cyber Egg, e a seguire lo storico della cucina Luca Cesari, Chiara Cavalleris di “Dissapore”, il semiologo e saggista Gianfranco Marrone dell’Università di Palermo, lo chef  Valentino Marcattilii del ristorante San Domenico di Imola e, infine, immeritatamente, il sottoscritto.

 

Puoi già anticiparci qualcosa del tuo intervento?

Beh, senza rovinare la sorpresa, ti dirò che d’istinto il termine norma, normatività mi ha fatto pensare al famoso film di Mel Brooks Frankestein Junior, così, in accordo con gli organizzatori Fabio Bacchini e Luca Cesari, ho intitolato il mio intervento “Normal Abbi Normal”. All’anormale mi piacerebbe poi aggiungere il paranormale, prendendo il prefisso para nel suo significato di vicinanza, affinità, relazione secondaria, piuttosto che deviazione, contrapposizione, alterazione. Se poi, come affermato da molti, la culinaria è un’arte ed il cuoco un artista, mi sembrava che questa fosse una maniera per interpretare il lavoro dei grandi autori di cucina, impegnati in un personale percorso che va dal contestare una normativa per arrivare ad un’altra, la propria, che è quella in base alla quale chiedono di essere riconosciuti e giudicati.

 

Ma con le immagini come la metti?

Dopo un’introduzione sui rapporti sociali oramai mediati dalle immagini, dove la realtà è la sua rappresentazione – vedi il breve ma profetico saggio La Società dello spettacolo di Guy Debord (1967) – il mio intervento avrà un approccio storico, giacché le norme visive, pittoriche o formali, relative agli utensili, piatti, bicchieri, posate e modalità di impiattamento e servizio a tavola, sono sempre esistite. Contesto tuttavia che una norma impostata dallo chef abbia un carattere di obbligatorietà nella modalità di consumare il suo lavoro. A fare una buona cucina, come al successo di un autore, che sia uno scrittore, pittore o scultore, ci vuole il riconoscimento di coloro che fruiscono della visione o degustazione dell’opera. Insomma, chi siede a tavola è un autore quanto chi ha fatto il piatto, è un deuteragonista!

 

Ho l’impressione che questa tua impostazione animerà il dibattito.

Sono convinto che le possibili interferenze siano sempre costruttive e portino ad atteggiamenti concertativi. Lo spero, almeno.

 

Ma ci sarà modo di seguire il convegno non in presenza? Sono molto curioso.

Ahimè, no. Per sapere che ci siamo detti, dovrai intervistarmi nuovamente. Oppure sarò io a scriverti una relazione ex post.

 

Affare fatto!