di FEDERICO FORMIGNANI
Viaggio gastroetimologico attorno al più popolare degli insaccati. Le sorprese non mancano: la parola deriva da latino, dal bretone o dal sassone? Da “Lucania” o addirittura da “Lucca”?
A Poschiavo, piccolo borgo del Grigione italiano prossimo alla Valtellina, li chiamano lűganghìn, salsicciotti legati con lacci a quattro o sei parti per la conservazione. Il singolare dei salsicciotti poschiavini è lűganega, parola che nei vari dialetti lombardi cambia graficamente poco. L’origine è però nobile, essendo vocabolo di matrice italo-greca (loukanikò) che ci ricorda la Lucania, l’odierna Basilicata, regione nella quale, sicuramente, si mangiavano le salsicce!
Avendo cominciato il viaggio nelle Alpi Retiche, proseguiamo con i vari nomi della salsiccia nelle zone vicine, per esplorare poi tutta la Lombardia. Non è che le variazioni siano determinanti: servono tuttavia a rimarcare quanto siano vivi e autonomi i dialetti, ricchi di vocaboli vecchi di secoli che la civiltà livellatrice e ora omologatrice dei nostri anni non è riuscita ad appiattire del tutto.
Da Poschiavo si ritorna in Italia, nella zona di Livigno: un piatto prelibato di questa valle sono le salsicce di rapa (lughénia de pàsola); da Livigno a Bormio, dove troviamo la lugàniga da sank (salsicce di sangue, quello della macellazione del maiale). A Valfurva e Cepina, sempre nel contado di Bormio, la salsiccia diventa lugheniga. Dalla Valtellina, oltrepassata l’Aprica, se scende nel bresciano. Qui, in molte zone, la salsiccia si chiama lögànega, mentre nel bergamasco cambia grafia, per la lenizione di una “g”: a Bergamo viene chiamata löanghina, mentre in Val Gandino, una delle molte valli delle Alpi Orobiche, si trasforma in löganghina. Tiraboschi, compilatore del dizionario delle parlate bergamaschi, ricorda una certa similitudine di questi due vocaboli con quello spagnolo di uguale significato longanica.
L’immaginario viaggio gastronomico-filologico prosegue verso il sud della Lombardia, nel mantovano. Qui la parola cambia e diventa, all’emiliana, salsisa, mentre salsisòt è il salume più piccolo e rotondo. Terra grassa e d’abbondanza, il mantovano; non a caso un proverbio ricorda che a Mantva igh lìga i can con le salsise (a Mantova ci legano i cani con le salsicce)! Sempre viaggiando a nord del Po, si incontra Crema, con i suoi luganeghì, luganegòtt; in questa zona della provincia cremonese il dialetto conserva chiare influenze bergamasche. Poi si scavalca il grande fiume per una breve capatina a Piacenza, dobe la parlata si stringa un po’; luganga e lugangott, pur conservando abbondanti influenze lombarde. Sempre emiliano nel suono e nelle cadenze è il dialetto di Voghera, che i suoi salsicciotti li chiama lűganeghén. Da Voghera a Pavia, il tragitto è breve e la parola non cambia di molto: lűganega, lűganga, lűganiga. Questi termini coesistono però con quello di origine emiliana di salsisa: appetibile è infatti un piatto locale a base di fidag e salsisa (fegato e salsiccia). I chilometri si aggiungono ai chilometri e le differenze, anche se lievi, si sommano le une alle altre. A Vigevano la salsiccia è lűgania e i vigevanesi sono categorici circa la preparazione di un piatto tipico: la rustïda bïna fära cȗ ra lűgania (il fritto deve essere fatto con la salsiccia). Apprezzati sono anche i lűganighì più piccoli, ma non per questo meno appetitosi: cȗ dű lűganighì funa culasiô (con due salsicciotti facciamo colazione), dicono convinti gli abitanti della città sforzesca.
Da Vigevano, a Milano. Seguendo i canali della “bassa” e il profumo stimolante della lűganega ambrosiana, chiamata scherzosamente un tempo anche corda de Monscia (corda di Monza). Francesco Cherubini, compilatore del più noto dizionario milanese, afferma che tale vocabolo proviene da quello latino lucanica e descrive questa specialità quale “…carne di maiale sottilmente tritata, addobbata di sale e droghe e messa dentro le intestina d’agnello, ben ripulite”. Le varianti milanesi della salsiccia sono molteplici: abbiamo la lűganega de cervelaa (la cervellata), il lűganeghin d’àj (salsicciotto all’aglio), quello de codega (cotechino) e così via. Un tempo, nei negozi di salumeria si chiedeva una resta de lűganega: la resta era la misura dell’intero budello utilizzato quando la salsiccia veniva insaccata. Altro buon piatto era quello dell’Alto Milanese: lűganegott cont i spinàzz (salsicciotti con gli spinaci). Cletto Arrighi, autore di un altro dizionario milanese, ricorda il parsimonioso detto: …te credet che chì se lìga i scés cont la lűganega? (…credi che qui si leghino le siepi con la salsiccia?), per invitare qualcuno a non far sprechi, specie di cibo.
Il periplo della Lombardia è quasi alla fine. Nel comasco la salsiccia è lűganiga, lűganega. L’Abate Monti, autore del dizionario della Diocesi di Como, trova un aggancio col termine sàssone lock (floscio) e con quello bretone logoder di identico significato; e la salsiccia, si sa, morbida lo è davvero! Ritorniamo nella Svizzera italiana, a Roveredo. Qui vanno matti per la luganighèta (salsiccetta), fatta con carne di vitello, più sottile e digestiva delle altre. Il viaggio gastronomico sta per finire. Possiamo ricordare il parere del filologo ticinese Carlo Salvioni, che fa derivare latinamente la parola lucanica dalla città di Lucca, nella quale la si fa ottima. Anche Giacomo Devoto trova che il latino lucanica (con lenizione della “c” in “g”, tipica dei dialetti settentrionali) proviene dalla regione (la Lucania) che più di altre ne conosce la preparazione.
Per concludere, il parere etimologico di Menicanti e Spiller, moderni compilatori di un dizionario del milanese d’oggi. La parola deriverebbe da longa (lunga) e nega, forma desinenziale, questa, al pari di quella che si riscontra nel vocabolo “panzànega”.
E dopo così tante parole dialettali non ce la vogliamo mangiare una “salsiccia” italiana, da qualunque regione provenga?