di FEDERICO FORMIGNANI
Il ticinese Giovanni Arcioni (1827-1898) emigrò giovanissimo in Italia, poi lavorò a Parigi e infine andò a cercare l’oro in Australia. Ci ha lasciato un amaro diario scritto in un curioso linguaggio crossover.
Oggi la parola “antan” non è molto usata, eppure ha nobili origini: arriva dal latino volgare ant(e) an(num), cioè un anno prima, ma viene tirata in ballo quando ci si riferisce a qualcosa di trascorso, per il quale si nutre nostalgia o rimpianto.
Ecco: Giovani Arcioni, fu, in qualche modo, un migrante d’antan. La sua avventura umana ricalca l’odissea che giornalmente affrontano i migranti di oggi. Era svizzero, nato a Corzoneso, nell’alta Val di Blenio, Canton Ticino, e visse una vita tanto difficile quanto movimentata. Otto anni della quale, dal 1854 al 1861, trascorsi in Australia a inseguire il miraggio dell’oro.
Ciò che rende speciale la sua vicenda, o almeno individuabile, è il diario che ci ha lasciato.
Inizialmente lo intitolò “Journal sur la Mer” e poi, in via definitiva, “Memorie di un emigrante ticinese in Australia”. È un manoscritto di oltre duecento pagine “…fait par Jean Arcioni, Corzoneso (Suisse); 15 septembre 1854, Liverpool”, che racconta del viaggio dall’Inghilterra a Melbourne e delle sue avventure di cercatore d’oro, corredate da varie informazioni economiche (prezzi, salari, bilanci, rendiconto delle spese sostenute, anche le più modeste, tutte allineate in sterline e pence). Il documento contiene inoltre una quindicina di poesiole redatte in italiano (con naturali riferimenti al dialetto parlato in Val di Blenio), francese e inglese: parole riferite all’amore e alle vicende quotidiane. Interessante è, per esempio, la puntigliosa descrizione che l’Arcioni dedica alla nurritura (nutrimento, dal francese nourriture) che spetta ad ogni persona imbarcata su Il Mobile (nome della nave): “1Pound (una libbra, poco più di 450 grammi)) di carne salata e di farina di fromento, 3 Pd di bisquit pane, 4 Pd di farina di avena e riso, il tutto per settimana. Mezza oncia (poco meno di 30 grammi) di carne di porco e pomi di terra (patate), 9 once di caffè e the e zuccaro a volontà, mezza oncia di aceto, 2 di uva seccha, 4 once di piselli secchi, sempre per settimana, oltre a 1 pinta (circa mezzo litro) di acqua per giorno”.
Nel corso della navigazione si rincorrono le annotazioni del migrante: “…nivolo (nuvoloso) con aria calda ma forte, che marciamo a meraviglia”, oppure: “…è morto un inglese di circa 36 anni e questa mattina alle 7 e mezzo l’anno gettato in mare”. Quando superano l’Equatore, annota: “…il sole è caldissimo. Vi fu grande festa dei marinari e giochi e danze”. Arrivato in Australia, ha inizio un’altra vita, che si può sintetizzare con la curiosa considerazione del primo giorno di lavoro in miniera: “…uno gennaio 1855, lunedì: arrivati al fondo del bucco e abbiamo cominciato a fare ORO”. Il 16 aprile del 1859, a quasi cinque anni dal suo arrivo dall’Europa, l’Arcioni scrive (approssimativo l’inglese impiegato) queste note-testamento: “…debiti, quando finirete; finirete con la mia stessa vita, stanca e senza speranze, in questo paese di ruffiani. Sono nato coi debiti, vivo nei debiti, continuo a lavorare per i debiti; forse morirò coi debiti”. Nelle parole di questo povero e sensibile emigrante ticinese, c’è un’infinita amarezza; finiscono per assurgere, quasi, a tragico simbolo delle sofferenze e disillusioni sue e di molti altri compagni di sventura. Tornato per breve tempo a lavorare a Parigi, Arcioni concluderà l’esistenza nella ritrovata Corzoneso, fra le montagne del Canton Ticino.