di FEDERICO FORMIGNANI
La Divina Commedia riscosse subito uno straordinario successo e a essere copiata e a circolare in Toscana e in Italia quando il poeta era ancora in vita. Eccone la cronistoria.
Poche settimane fa abbiamo parlato di Dante e dei suoi “giudizi” sui vari dialetti del suo tempo. Oggi entriamo nella Divina Commedia e ci chiediamo quale delle tre dimensioni – che in modo così sublime ha descritto – possa aver raggiunto, morendo.
Azzardato collocarlo subito in quella del Paradiso e ingeneroso immaginarlo nell’Inferno, del quale ha narrato pene infinite e moltitudini di peccatori. Più verosimile che il poeta abbia compiuto una sosta in Purgatorio, prima del balzo finale ampiamente meritato in vita per il duplice dono che ci ha lasciato: un’opera immortale e una nuova lingua.
Dante Alighieri (1265-1321) ha in un certo senso scandito l’avvio della letteratura dell’età moderna, pur vivendo in pieno medioevo. Risale infatti a questo periodo la prima fantastica diffusione di opere letterarie delle quali è stato possibile seguire da vicino successo e popolarità, già dal momento in cui venivano concepite. Da sempre primo libro la Bibbia, quindi la “Legenda Aurea” composta in latino (e presto tradotta in volgare) da Jacopo da Varazze, frate domenicano e vescovo di Genova; scritta dal 1260 sino al 1298, è una raccolta medievale di biografie di santi. Terza la Commedia, indiscutibile successo popolare che ha reso famoso il nome di Dante quand’era ancora in vita. Il poeta ha reso pubbliche le sue Cantiche in questa sequenza: Inferno (nel 1314), Purgatorio (nel 1316) e Paradiso tra il 1316 e il 1320. I primi lettori sono stati uomini di legge, di scienza, educatori, mercanti e persone abbienti; molti di questi lettori hanno riempito i margini dei vari fogli con annotazioni e pensieri su quanto stavano leggendo, segno evidente di gradimento e desiderio di studi più approfonditi. Passano pochi anni e altri notai – a Firenze, in Toscana, a Bologna – riempiono di versi addirittura gli spazi bianchi dei differenti registri e quaderni delle loro attività professionali, decretando anche in tal modo il successo travolgente dell’opera.
La più antica Francesco di ser Nardo da Barberino (1264-1348) con due versi dell’Inferno riportati a margine di una sua opera (“Documenti d’Amore”) ed è a lui che viene l’idea di allestire un’officina scrittoria destinata unicamente alla copiatura del poema, per soddisfare la sempre crescente richiesta di lettura. Nascono così i Codici del Cento, detti anche Danti del Cento: un centinaio di copiature degli scritti di Dante (una vera e propria “catena di montaggio”!) che ha contrassegnato il Trecento quale impresa economica e culturale di assoluto rilievo, al punto che i cronisti dell’epoca, parlando di Francesco, ideatore di questa particolare operazione culturale divenuta in seguito commerciale a tutti gli effetti, così si esprimono: “…e si conta d’uno che con cento Danti ch’egli scrisse, maritò non so quante sue figliuole…”. Nel secolo successivo (1455) Gutenberg inventerà la stampa a caratteri mobili; nel 1472 verrà pubblicata la prima edizione a stampa della Divina Commedia per opera di Giovanni Neumaster, a Foligno.
Quando Dante muore è già leggendario; purtroppo quasi tutto ciò che aveva scritto o autografato, assieme ai molti libri della sua biblioteca, andrà perduto; ma a soli dieci anni dalla scomparsa, le prime copie trascritte iniziano il loro viaggio in Toscana e in altre zone d’Italia, grazie ai molti copisti che erano divenuti anche divulgatori; tra questi – instancabile e appassionato – Giovanni Boccaccio, attivo nella lettura persino negli ultimi anni della sua vita, nella chiesa di Santo Stefano in Badia, a Firenze. Le letture hanno grande successo tra nobili, letterati, facoltosi mercanti e popolani. Nelle piazze e nelle chiese dell’Italia dei Comuni, oltre alle assemblee per discutere dei problemi delle comunità, trovano posto anche le letture dei versi di Dante affidate a chi, fra i primi, ne aveva letto i testi per poi divulgarli: Boccaccio, appunto, oltre al cronista Filippo Villani (fra il 1391 e il 1402), l’umanista Francesco Filelfo (1431) ed altri ancora, tra i quali il figlio del poeta, Pietro, cantore in piazza delle Erbe a Verona. Col tempo le bisacce di mercanti e pellegrini si riempiono di copie manoscritte economiche e alla fine del XV secolo le copie superstiti della Commedia sono circa quattrocento. Non è per caso che Eugenio Montale abbia definito la Commedia “l’ultimo miracolo della poesia mondiale”. Le opere letterarie di Dante Alighieri, da quei primi, lontani successi popolari, perdurano nel tempo e ne confermano la meritata fama mondiale.