di FEDERICO FORMIGNANI
L’autunno è la stagione del foliage, quella in cui – per colori e poesia – la foglia è protagonista indiscussa. Se il toscano Targioni Tozzetti ne classificò i tipi, il dialetto meneghino non è da meno.

 

Solitamente in autunno, se non predominano tempeste, inondazioni, grandinate e altro, le foglie cadono per poi rinascere in primavera; lasciano l’albero madre, si staccano silenziosamente e nel volteggiare per raggiungere il suolo, sembrano tutte uguali. Ma è poi così?

Nel 1835 Giovanni Targioni Tozzetti, fiorentino, scrive un libro intitolato “Istituzioni Botaniche” nel quale, parlando delle foglie, stabilisce con saporiti aggettivi che possono essere: “…semplici, composte, caduche, perenni, picciuolate, cuoriformi, ispide, pelose”.

Per il milanese le foglie sono soprattutto foeuj e frasch e di questi tempi, con l’umido che avvolge ogni cosa hinn foeuj che croden (sono foglie che cadono). Così come la primavera la càscia i foeuj (butta fuori le foglie, germoglia), l’autunno inoltrato le richiama a terra dando luogo a un brunito tappee de foeuj (tappeto di foglie) che diventa in seguito, con la pressione di scarpe e gomme d’auto, ona marscida de foeuj (una marcita di foglie).

Pur senza avvicinare la dotta competenza del botanico fiorentino, gli ambrosiani hanno sempre saputo che la matrice naturale di una foglia l’è la pianta; e la pianta più simpatica, oggi abbastanza rara, l’è quella che la ven su in de per lee (quella che cresce da sola, vale a dire la pianta spontanea), detta anche selvadega (selvatica) che tuttavia non è l’unica. C’è la pianta forestera (esotica) che attecchisce solo in presenza di particolari condizioni ambientali; la pianta nanna (nana, curioso l’ormai poco rispettata regola dialettale del raddoppio delle “n”); quindi c’è la pianta natural (ariosa, a tutto vento), quella forta (robusta, massiccia) quella gemellada (a doppio fusto) e, soprattutto, la nostranna (indigena).

Ogni pianta può presentarsi scioccada (cimata, tagliata) verbo derivato dallo sciòcch (ciocco) lombardo, affinché si rafforzi e dia in seguito foglie sempre più belle e frutti più gustosi, se ne ha. Purtroppo, in molti casi, si preferisce la pianta strepientada (divelta) per far posto all’asfalto o al cemento; ciò non di meno c’è ancora chi, con fede tutta lombarda, vuole e riesce a mett a piant on sit (mettere a piante un luogo) destinarlo cioè a verde più o meno pubblico.

Tornando alla foeuja, possiamo aggiungere che ne esistono di diversi tipi. La foeuja smaggiada (foglia macchiata), quella che si presenta color ruggine, tipica dell’autunno. Prima di cadere si trasforma per breve tempo in foeuja incartada (accartocciata). Esistono i foeuj disper (foglie alterne) e i foeuj matt (foglie seminali); non mancano i foeuj de vit (pampini) e i foeuj senza picòll (foglie sèssili); in milanese il picòll è appunto il gambo, il peduncolo. Poi c’è la foeuja giazzoeula (foglia dei gelsi) detti a loro volta anche moron. Notevole quindi la varietà dei moron: vanno dai calabres agli espargnoeu selvadegh (spagnoli selvatici); dal toscan al padoan (padovano) a quelli dell’India e della Cina: un’ampia scorribanda geografica di foglie che nutrono i laboriosi bachi da seta, vanto dell’industria comasca del secolo scorso e prima ancora.

Per terminare, la “foglia” dei milanesi è simpatica anche quando la si esamina e giudica per traslato. I primi freddi, è noto, fan tremà come ona foeuja (fanno tremate come una foglia) sia chi abita in città che nel resto della regione; sparito il bel colore dalle labbra dell’amata, simili a quelle di un petalo (foeuja de fior, fior di foglia, petalo e anche labbro). A questo punto in città cominciano a mangià la foeuja (mangiare la foglia, sospettare, intuire l’inganno). Per attenuare e possibilmente far sparire del tutto il cadaverico color de foeuja morta (colore di foglia morta) dai visi emaciati, non rimane che distribuire e ricevere – a seconda delle circostanze – un fiammante garofol de cinq foeuj (garofano a cinque foglie), detto anche slavion (sberla). Tanto, si sa, alla fine il destino degli umani è sempre quello: o pan moijn o pan moeuj, se no hin frasch, hin foeuj (o pane e vino o pane e acqua, se non è zuppa è pan bagnato).