di FEDERICO FORMIGNANI
I dialetti sono, tra l’altro, un formidabile ponte tra religione e credenze popolari, fede e superstizione. Esempi? Il bestiame raccomandato a San Bovo le balie a San Mamante…

 

Manlio Cortelazzo (1918-2009), già Professore emerito di Dialettologia italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Padova, ha diretto per parecchi anni il Centro di dialettologia italiana del C.N.R. per lo studio di tale disciplina.

In un saggio del 1965 il famoso linguista si è occupato della Religio e del Verbum nelle aree settentrionali della penisola. Scrive infatti Cortelazzo: “…i sottili e spesso complicati rapporti che legano le credenze religiose e superstiziose all’espressione verbale, possono rivestire aspetti fra i più vari e inattesi; anzi, la parola può addirittura assicurare una funzione catalizzatrice e perfino demiurgica nella nascita e nella modificazione di un fatto religioso”. Gli esempi ricordati dallo studioso patavino sono molti e, non di rado, curiosi.

Troviamo così che il popolo riconosce capacità terapeutiche a un santo in rapporto al suo nome che, guarda caso, presenta una certa assonanza con determinate malattie o situazioni sanitarie compromesse! Da qui, la possibilità del santo di curarle o, quanto meno, di esorcizzarle. San Liberale e Santa Liberata, quindi, vengono invocati in vaste aree del Nord per ogni sorta di male; grazie al “nome”, saranno in grado di “liberare” gli afflitti. Anche gli animali da stalla venivano un tempo raccomandati a San Bovo, mentre le balie che allattavano – vecchio mestiere oggi rimpiazzato dagli omogeneizzati – chiedevano la protezione di San Mamante; è evidente che i termini in dialetto accostano i nomi dei santi a quelli dei “buoi” e delle “mammelle”. Sempre dovute a condizioni linguistiche locali sono alcune credenze pagane collegate al giorno dell’Ascensione. In molti dialetti si dice Ascenza, Ascensa e il collegamento col vocabolo “insensato” è venuto naturale. Ecco allora che a Venezia andare a la Sensa significa essere “trasognato, scimunito”; lȃ a Sense, in friulano, sta per “fantasticare, vaneggiare” e nel dialetto di Albona (Istria) dicono di uno: lo imbarcaremo sta Sensa per dargli del “balordo”, dello “stupido”; in buona sostanza, dell’insensato.

Il dialetto entra di nuovo in ballo, con la sua semplicità e immediatezza, in alcuni comportamenti stimolati da ben precisi eventi. La “penna” di un animale, nei dialetti del Nord e per via della comune lenizione di una “enne”, diventa péna. Ecco perché nel trevisano mettevano sotto il capo del morto, già nella cassa, un cuscino confezionato con stoppie e non penne, proprio perché le péne avrebbero altrimenti accompagnato il defunto anche nell’aldilà! Analogamente i fedeli guarivano dal torcicollo mormorando una formuletta in latinorum allorché il sacerdote invocava sursum corda; le corde, per il popolino, erano i muscoli del collo! E gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo. Aforismi del tipo: salvia salva, o al contrario: malva mal abbia, bollavano queste erbe di proprietà benefiche o malefiche in funzione del loro nome. Ancora: gli esperti di folclore accomunano i nomi di certi dolci, confetti, al fatto che c’era l’usanza di “benedirli” prima che venissero mangiati. Le parole dialettali coincidenti non sono poche: abbiamo la modenese bensòn (dolce fatto di farina, uova e zucchero), la milanese benìs (confetti) eccetera.

Terminiamo con un’ultima curiosità dialettal-popolare di carattere religioso. Dall’apertura del salmo XV (Qui habitat in adjutorio Altissimi) un tempo in uso, il Boerio, autore nel 1829 del Dizionario del Dialetto Veneziano, precisa che il salmo veniva recitato (storpiandolo) dai distratti che volevano ritrovare oggetti perduti. A Chioggia, con la stessa formula, benedicevano al contrario le barche che dovevano prendere il mare. Qui habitat ha poi subito trasformazioni e adattamenti in diverse parlate settentrionali. Sentir la quiàbita, nel Veneto, vuol dire “ricevere rimproveri”; sintȋ el cuiabit, el cujàbitat, in Friuli e in altre zone, significa “sopportare un predicozzo”. Una preghiera esorcistica contenuta nel testo pavano del Ruzzante (l’Anconitana) recita così: ”…e si a me fié pi di cento crose con le man, con la lengua dissi el triabita, la salverezina…” (e così mi feci più di cento croci con le mani, con la lingua dissi il Qui Habitat, la Salve Regina…). Una preghiera che pare sopravviva in alcune zone del basso Veneto.