E’ appena uscito il sesto album, interamente acustico e per sola chitarra, pianoforte e voce, del cantautore britannico dalle robuste frequentazioni italiane. Un lavoro denso e intimo, che squaderna le radici profonde del musicista e i nervi scoperti dell’artista.

 

Ci sono almeno tre chiavi di lettura per questo intriganteJoy and Independence“, il nuovissimo cd del cantautore e chitarrista inglese Jason McNiff che più volte ho avuto il piacere di ascoltare e di ospitare dal vivo.
Tre chiavi che si prestano a un ascolto con tre diversi gradienti emotivi.
La prima, più musicologica, è quella di una sorta di abbecedario, di summa del metabolizzato artistico di Jason, che fa dell’album la classica opera matura o “definitiva”, come si sarebbe detto una volta. J&I è infatti un disco che perfino involontariamente trabocca di radici, di influenze, di un ricco retroterra ben assimilato, dove le eco dei classici del songwriting affiorano e carsicamente tornano a nascondersi per non appannare (e infatti non appannano) l’originalità delle canzoni, tutte e undici composte e autoprodotte da McNiff. E così, tra gli arpeggi, ecco certi obbligati strappi dylaniani, le sonorità knopfleriane (sì, il leader dei Dire Straits è stato un grande amore musicale di Jason, come lui stesso mi disse anni fa e come confessa anche nelle note di copertina), le lezioni di maestri come Bert Jansch e perfino lontane sonorità old timey. Insomma tutto l’armamentario del folk ad ampio raggio, e molto venato di blues e di America, che è la cifra musicale confessa del musicista. Come un’ombra lunga, calda e ingombrante, che aleggia ma non toglie nulla all’originalità di un lavoro capace anzi di rimanere invece profondamente mcniffiano nello stile, nello spirito e nell’impronta. Grazie anche all’inconfondibile timbro vocale del nostro.
E’ proprio questa la seconda chiave di lettura, quella che illumina la componente poetica e compositiva del disco: un disco asciutto e senza fronzoli, a tratti perfino austero anche nel suono, tanto da far pensare alla volontà di una musica “per sottrazione“, per usare un’espressione assai alla moda, ma che abbonda di sfumature liriche e di un’intimità che lascia spazio a tutte le espressioni tipiche della poetica di Jason, artista costantemente sospeso tra la confessione e il ricordo, la lirica e la quotidianità, l’osservazione e la cronaca minima.

E qui si innesta la terza chiave di lettura di “Joy and Independence”. Quella più emotiva e ricca, sia nei testi che nei suoni, di reminiscenze e di sensazioni, che dà all’album una densità sonora sobria e una fittezza raffinata in grado di rimanere in testa a lungo, come una scia di fluente lentezza. La stessa con la quale McNiff ripercorre, tra le note interne dell’album, la storia del rapporto tra sè e la chitarra: una sorta di sinuosa compagna di vita capace di influenzare la vita stessa e di rendere i sogni possibili. O almeno di farlo credere.