Per aver senso, un blog ha bisogno di almeno qualche lettore. Massime se serve a promuovere qualcosa o qualcuno. Ma il 99% dei blog si autopromuove via FB, il grande blog collettivo. Che finisce per cannibalizzarti, trasformando il blogger in un ignaro gregario di FB.
Quello che state leggendo è un blog.
Sì, in realtà è una testata giornalistica registrata che obbedisce alle norme previste per questa categoria di media, ma lasciamo perdere le sottigliezze: la forma, la logica, i ritmi, lo stile di Alta Fedeltà sono quelli di un blog.
Una domanda che mi faccio sempre più spesso è: che senso ha averne uno?
Le risposte variano, ovviamente, secondo il soggetto a cui sono riferite, ovvero il blogger.
Se si parla di qualcuno che il blog lo tiene e lo usa per semplice svago, il senso è implicito.
Il mio caso è già un po’ diverso, perchè nasce dal desiderio di trattare pubblicamente, in modo giornalistico sebbene con tempi e maniere scelti da me, temi e questioni che mi stanno a cuore. Il punto però non è questo.
Andando a scavare nell’universo mondo digitale è infatti facile scoprire che, molto frequentemente, i motivi per i quali la gente apre un proprio blog sono ben altri dai miei: acuto narcisismo, auto o eteropromozione, commercio, vetrina personale. Talvolta anche un po’ tutte le cose insieme.
E questo basta a sollevarmi subito un altro interrogativo: se un blog è a tutti gli effetti un “diario pubblico“, è evidente che esso per esistere ha per definizione bisogno – appunto – di un pubblico, insomma di qualcuno che lo legge. Altrimenti tanto varrebbe continuare a scrivere i propri pensieri, come un tempo, su qualcosa di cartaceo da tenere nel cassetto, no?
Questa ovvia constatazione genera a sua volta una seconda bipartizione tra quelli per i quali l’esistenza di un pubblico (e la sua relativa misurazione) è una questione puramente eventuale o, al massimo, un motivo di banale compiacimento, e quelli per i quali invece avere un pubblico è una motivazione primaria, per non dire un desiderio confesso o anche, nei casi più espressamente commerciali, una necessità economica. Insomma, se il mio blog serve come fonte di reddito, è difficile che lo possa essere in mancanza di lettori.
Alta Fedeltà, tanto per non nascondersi, ricade tra i primi: se mi leggono sono contento ma – ben consapevole anche dei temi e dei toni non sempre popolarissimi, nonchè del fatto che avere un blog non mi porta nulla, perchè nulla mi serve da esso ricevere – se alla fine non faccio grandi numeri non m’importa un fico secco. Cosa che, lo so, pare inconcepibile ai fanatici del click (i quali infatti non hanno mai mancato di farmelo notare). E che, viceversa, mi regala una libertà, una trasversalità e una leggerezza d’azione precluse a chi, al contrario, ogni mezz’ora ha l‘impulso o il bisogno di controllare le statistiche o di contare iscritti e commenti, o di soppesare i galleggiamenti su Google.
Da qui emerge il primo e grosso paradosso: lo strumento di (auto)promozione, cioè il blog, per funzionare ha a sua volta bisogno di strumenti di autopromozione.
Il che si traduce in pratica, per il blogger, in un raddoppio del lavoro: da un lato egli deve gestire il blog, dandogli contenuti, programmazione e linearità, e dall’altro deve agire costantemente altrove sulla leva della propaganda pro blog medesimo.
Il come ciò avvenga, lo insegna l’esperienza: fatta eccezione per i blog di antico pelo o quelli tenuti da personaggi famosissimi, che richiamano lettori da soli, il mezzo per dare visibilità ai contenuti di un blog è ancora, essenzialmente, la rete stessa, o meglio sono i social. Attraverso i quali tutti i blog o quasi rilanciano i propri post.
D’acchito pare una cosa normale.
L’aspetto un po’ grottesco di tutto ciò è, invece, il fatto che, nel frattempo, anche i social network sono divenuti a loro volta una sorta di pratico, agile, gratuito e poco impegnativo blog collettivo. Il quale, nel momento in cui promuove un blog, contemporaneamente “ruba” attenzione e lettori al blog stesso che attraverso di esso cerca di promuoversi, in una specie di circolo vizioso.
E qui si torna allora alla domanda iniziale, che giro ai sociologi e ai teorici della materia: che senso ha, oggi, avere un blog se per gestirlo devo gestirne, seppure in condominio (FB, principalmente), anche un altro, che oltretutto mi assorbe una quantità di tempo e di energie forse perfino superiore al primo?
E non vale la pena, se così è, di chiudere il proprio asfittico blog e usare direttamente la propria pagina o profilo FB come se fosse un blog (cosa che peraltro molti blogger, talvolta senza accorgersene e talaltra per ponderata scelta, già fanno)?