di LORENZO COLOMBO
A Mario Ghezzi – una vita nel vino fatto e venduto in Brianza – il virus ha fatto danni a 360°: horeca, agriturismo e gdo. S’è difeso coi picnic in vigna e, in attesa di tempi migliori, pianta vigneti e oliveti.
Per il mio primo turno in questa nuova rubrica ho pensato di iniziare dai produttori del territorio nel quale vivo, ovvero la Brianza. Ecco quindi la mia chiacchierata con Mario Ghezzi, titolare delle Terrazze di Montevecchia.
Mario, in mezzo al vino, ci nasce: suo padre gestiva un’osteria aperta all’inizio degli anni ‘40 a Rovagnate. Il passo successivo fu acquistare l’uva per fare il cosiddetto “vino della casa”.
Negli anni ‘60, col fratello Aldo, fonda la Vinicola Ghezzi, che vinifica partite d’uva pugliesi e commercia il vino nei classici bottiglioni a rendere, come s’usava allora.
Nel 1994 Mario acquista una cascina in rovina, la Ghisalba, già deposito di carrozze e cavalli in uso alla nobiltà locale, poi stalla ed infine allevamento di maiali. Ci vogliono cinque anni per ristrutturala e trasformarla nell’agriturismo di famiglia. Sempre nel 1994 pianta i primi vigneti: andavano di moda Cabernet e Chardonnay ma lui, da buon bastian contrario, su consiglio di Attilio Scienza sceglie Syrah e Viognier.
Oggi l’azienda dispone di 11 ha di vigneto (6 in proprietà), e produce circa 30.000 bottiglie/anno: in questi vigneti terrazzati, infatti, la resa non supera i 40 q.li/ettaro. Tra le sue cinque etichette, un Metodo Classico da Viognier, se non l’unico certamente uno dei pochissimi spumanti prodotti con questo vitigno:
Come stai vivendo questo secondo lockdown e cosa hai fatto per affrontare i problemi che ne derivano?
Dalle chiusure della scorsa primavera abbiamo istituito, come Consorzio Terre Lariane, un Wine Delivery dove si possono ordinare i vini di dodici aziende del territorio, ma per quanto mi riguarda i risultati sono stati sotto le aspettative. Mi salva in parte il fatto che un terzo dei miei vini sono distribuiti sul territorio da una GDO, anche se pure lì ho notato un leggero calo. I miei vini del resto non sono da “primo prezzo” e in questo momento di crisi le persone tendono a risparmiare. Il canale horeca è invece completamente fermo. Chiuso l’agriturismo, quindi fermi anche vendita diretta e mescita.
Con l’agriturismo non hai pensato d’attivare l’asporto o il delivery?
La nostra posizione, in mezzo alla natura ed ai vigneti, in condizioni normali è molto ricercata ma diventa uno svantaggio per l’asporto: siamo troppo fuori mano, quindi abbiamo era meglio chiudere, mettendo purtroppo in cassa integrazione i nostri due dipendenti in attesa di tempi migliori.
Com’è stato e cosa vi siete inventati nel periodo di transizione in mezzo ai due lockdown?
Durante l’estate, col problema el distanziamento sociale, ci siamo inventati il “picnic in vigna”, che ha avuto un grande successo tra i più giovani. C’erano postazioni segnalate nel vigneto adiacente all’agriturismo: i clienti preordinavano il cibo che veniva loro consegnato in appositi contenitori assieme ad una copertina e quindi veniva loro assegnata a ciascuno una postazione. I meno audaci avevano a disposizione i tavoli, ben distanziati tra loro, sul grande terrazzo.
E per il futuro?
Ultimamente ho messo a dimora un nuovo vigneto Chardonnay e Sauvignon in località Bernaga, nel comune di La Valletta Brianza dove sono nato. Per non farmi mancare nulla, ho impiantato anche un oliveto sui versanti di Montevecchia. E poi debbo anche pensare al mio nipotino nato da poco.
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