Torna, riveduta nei metodi e corretta nella tecnologia, l’idea di un extravergine congelato appena uscito dal frantoio per “imprigionarne” le virtù nutritive e organolettiche. E scongelato solo per il consumo. Forse non è una rivoluzione buona per tutti gli usi, ma un’opportunità in più per consumatori e produttori. Costi permettendo.
Immagino già il menu. Accanto alla voce “insalata”, una postilla: “Attenzione, il piatto potrebbe essere condito con olio congelato”.
Una freddura (appunto)? Un colpo di sole? Macchè. Presto potrebbe anzi essere una realtà, se prenderà campo e troverà mercato l’idea dell’extravergine conservato sotto zero e scongelato alla bisogna. Una proposta non nuova, ma tornata alla ribalta – riveduta e corretta – di recente. Di cui si è parlato giorni fa all’Impruneta, tra gli oliveti della campagna fiorentina.
L’aneddotica, per la verità, è piena di vecchie storie sull’olio congelato. Come quella del fattore che lo rubava mettendoselo in tasca a pezzi, rotto col martello, fino a quando il padrone non lo invitò a bersi un vinsantino nel canto del fuoco. Ed è piena anche di adagi rurali, tra cui quello che l’olio non va mai fatto congelare perché, altrimenti, perde qualità e profumo.
Il congelamento di cui si parla qui, però, è diverso. E’ un congelamento volontario, tecnologico e controllato. Fatto apposta per bloccare i processi degenerativi a cui il prodotto è fatalmente destinato con il trascorrere del tempo e per “cristallizzare” le qualità organolettiche e nutrizionali dell’extravergine proprio nel momento in cui esso esprime il massimo della sua fragranza, cioè subito dopo la frangitura.
Scopo: offrire al mercato, anche fuori stagione, un olio “fresco di frantoio”.
L’idea, appunto, non è nuovissima. Ne sentii parlare la prima volta una quindicina di anni fa, da un diabolico svizzero di Castellina in Chianti che aveva risolto il problema del cattivo odore assunto dai fiscoli mettendoli in freezer appena tolti dalla pressa e scongelandoli dodici mesi dopo.
Se ne parlò ancora, più in grande e a fondo, al “Sol” veronese del 1999, quando Antinori presentò il “Novizio”: un’elegante (e costosa: 20mila lire per mezzo litro, mi pare) ampolla di extravergine congelato, da mettere in frigo e scongelare per l’uso. Il progetto però non decollò e finì nel dimenticatoio. Le ragioni? Di prezzo, di mentalità del consumatore, di stabilità (l’olio scongelato si degradava presto e quindi o si consumava subito o si buttava) e forse anche di qualità all’origine (insomma il prodotto di base non era un granchè).
La faccenda torna invece d’attualità adesso, con un approccio molto più tecnologico e scientifico che in passato, nonché con un progetto imprenditoriale più ragionato alle spalle.
A portarla avanti è Donato Creti, aromatiere (cioè un “fabbricante” di aromi per l’industria alimentare), che da un paio d’anni sta facendo esperimenti con l’Università di Firenze e una dozzina di produttori “volontari”. I quali gli mettono a disposizione un extravergine fatto ad hoc seguendo una serie di prescrizioni tecniche indispensabili per avere un prodotto “adatto” al congelamento e destinate a costituire, in futuro, un vero e proprio disciplinare di produzione.
Il nome (registrato) è Crio-olio e allude, appunto, al freddo.
L’assunto è chiaro: non è né può trattarsi di un’alternativa all’extravergine “normale”. Il crio-olio è invece un prodotto di nicchia, adatto al consumo di alta gamma (l’ideatore già vagheggia il “frigo degli olii” nei ristoranti, come per il vino) o destinato a chi, per motivi di salute, ha bisogno in ogni momento dell’anno di un alimento al massimo delle sue capacità nutrizionali.
Non tutto l’olio, del resto, è o sarebbe utilmente “congelabile”. Nel senso che, per avere un prodotto capace, una volta scongelato, di mantenere tutte le sue caratteristiche per un tempo sufficientemente lungo da consentire un consumo non immediato, è necessario che l’extravergine di partenza abbia tutta una serie precise di caratteristiche chimico-fisiche. Caratteristiche ottenibili solo seguendo certi standard produttivi e utilizzando certe tecnologie (massimo 4 ore di tempo tra raccolta e frangitura, gramolazione controllata, insufflamento di gas inerti nelle zone critiche, abbattimento dell’ossigeno, etc). Con costi che, certamente, renderanno più alto il prezzo al consumo.
Funzionerà? “Non lo so”, dice Creti. “Per ora sto interessando da un lato l’industria del freddo, partner indispensabile per un simile progetto, e da un altro i produttori, soggetti altrettanto indispensabili a garantire tanto una base produttiva quantitativamente sufficiente quanto qualitativamente ineccepibile, sulla base di un disciplinare vincolante. Le ricerche di laboratorio condotte dall’Università di Firenze – continua Creti – hanno dimostrato del resto che, nei primi dodici mesi di vita di un extravergine, la componente terpenica, cioè aromatica, derivante direttamente dal frutto e dalla cultivar utilizzata, si altera poco e quindi non ha molto bisogno di essere “conservata” tramite il congelamento. Tutto il contrario invece avviene per la parte fenolica, che determina molti dei caratteri organolettici dell’olio, la sua tipicità, la sua stabilità ed anche la sua salubrità. Essa dipende in gran parte dai metodi di frangitura e di conservazione del prodotto e su di essa il congelamento costituisce la massima garanzia di preservazione”.
La scommessa, insomma, è partita.
Ci è rimasta la curiosità di degustare comparativamente i crio-olii appena scongelati.
Ve ne riferirò appena possibile.