L’OdG vara l’operazione “todos caballeros”: per un triennio i pubblicisti di nome, ma professionisti di fatto, potranno accedere all’esame di stato, anche a prescindere dal loro reddito. Provvedimento giusto, con potenziali effetti catastrofici (e fini elettorali).

La prima a mettere la notizia su FB è stata la collega Antonella Cardone: “Ecco la nuova possibilità che offre l’Ordine dei giornalisti per dare risposte a chi fino ad ora è stato giornalista de facto ma è rimasto nell’elenco pubblicisti solo perchè gli editori lo pagano poco“, scrive. “E’ una misura temporanea che vale solo dal primo gennaio 2014 al 31 dicembre 2016.
Al 31 dicembre 2013 occorre possedere i seguenti requisiti:
-essere pubblicista
-svolgere all’atto della domanda attività giornalistica
-aver esercitato in maniera sistematica ed esclusiva attività giornalistica retribuita per almeno 36 mesi, anche non continuativi, nel quinquennio precedente la data della domanda
-presentare documentazione attestante i rapporti contrattuali esistenti nel periodo di riferimento, compresa la documentazione fiscale e contributiva
-consegnare una relazione sull’attività svolta
Si fa corso di formazione di 48 ore e si va all’esame di Stato. Se lo si supera, si diventa professionisti
“.
Altri lo chiamano, più ampollosamente, “ricongiungimento“.
E’ davvero una grande conquista? Un giorno radioso per la professione? Un atto di giustizia?
In apparenza, forse, sì.
In sostanza mi pare invece (alla luce almeno di quanto finora divulgato) un’operazione di una miopia e di un sapore elettorale insopportabili.
Che avrà un unico effetto pratico: di provocare l’assalto alla diligenza, insomma una vera e propria, disordinata “transumanza” di giornalisti da un elenco a un altro, un grottesco travaso, senza risolvere uno solo dei reali problemi della categoria: la sottoprofessionalizzazione, la mancanza di reddito, la mancanza di tutela, la mancanza di prospettive.
In sostanza, nel triennio migliaia di pubblicisti diventeranno professionisti: e tutto resterà (desolato) come prima.
Anzi, peggio: perchè i vincoli di esclusività della professione imposti dallo status di professionista possono diventare una gabbia soffocante per i tanti che finora si sono barcamenati abbinando il giornalismo ad altre attività, cosa concessa solo ai pubblicisti.
Qualcuno dirà: di questi vincoli molti se ne infischiano. Magari è vero, ma la norma è vigente e andrebbe fatta rispettare, piuttosto che far finta di non vedere i mariuoli. Non è che perchè qualcuno ruba, rubare diventa lecito.
Eppure gli aspetti francamente incomprensibili, per non dire sospetti, di questa manovra sono anche altri:
– qual è il senso di un provvedimento di tale importanza, caduto tra capo e collo senza un dibattito preventivo, un annuncio, una valutazione della base?
– già esiste il praticantato freelance, a che serve ora abbattere il requisito reddituale quando ciò che serve ai giornalisti è proprio una prospettiva di reddito e non la “patacca” da professionista?
– come si attesterebbero, poi, i “rapporti contrattuali esistenti”? Anzi, che sono? Il pubblicista spesso non ha contratti e se li ha li ha verbali, che “rapporti” può mai dimostrare?
– oppure, per dare per acquisita la capacità professionale del candidato, ci si affida alla sua autoasseverante “relazione”?
– a che serve infine, in termini concreti, frequentare un “corso di formazione” di 48 ore (salvo forse far guadagnare chi i corsi li tiene)? Se uno è “professionista di fatto” non ha bisogno di corsi, deve solo affrontare l’esame e dimostrare di avere una preparazione all’altezza.
Insomma, con buona pace dei peana che a 360° stanno piovendo sulla deliberazione odierna del consiglio nazionale dell’OdG, a me sembra tutto un gran pasticcio, che cade in tempi a dir poco sospetti (tra due mesi si vota per l’Ordine) e non porta nulla di buono alla categoria: solo il solito pieno di illusioni ad uso dei soliti furbi e dei tonti. Finti o veri che siano.