di URANO CUPISTI
Quella del 1990 fu una lunga tirata automobilistica su un Maggiolone succhia-benzina, via Cuernavaca e Taxco. Io sognavo galeoni all’orizzonte, ma la gente ci andava per le lune di miele e tuffi dalla scogliera.

 

E c’era una collina chiamata Tzatzitepetl. E’ ancora oggi chiamata così… E ci abitavano tutte le varietà di uccelli dalle piume preziose: la bella cotinga, il trogon risplendente, il touripal, la spatola rosata”(Codice Fiorentino, pag.12).

Era il contenuto di un biglietto che trovai all’interno di un libro presso la Biblioteca Comunale di Viareggio, lasciato da un “ricercatore d’avventure” come il sottoscritto, per suggerire di inserire i resti della città di Tula (65 Km a nord di Città del Messico) tra le mete da visitare.

Lasciata Città del Messico, con la sua cappa d’inquinamento pressochè perenne e il traffico caotico (eufemismo), con il mio maggiolone insaziabile di carburante mi lanciai quindi verso l’esperienza tolteco-atzeca, che pochi allora conoscevano: Tula, la capitale perduta dell’antico impero Tolteco.

Se la splendida Teotihuacan mi aveva costretto a una levataccia per essere uno dei primi ad entrare tra la moltitudine di turisti desiderosi di salire sulle piramidi del Sole e della Luna, la più tranquilla Tula mi regalò un fascino da godersi in pochi. Tant’è che decisi di trovare una pequeña casa de huéspedes (piccola casa per ospiti, alias pensioncina) per passare la notte ed ammirare al mattino, al levar del sole, quelle rovine. Gli abitanti di Tula erano considerati del resto i migliori architetti dell’antichità. I tulens furono infatti autentici innovatori delle tecniche di costruzione.

Lasciata Tula mi avviai verso il Pacifico e lo stato di Guerrero, verso Acapulco.

Ma per arrivarci era necessario attraversare altri stati e città, come la sempreverde Cuernavaca e Taxco.

Devo dire che chi ha soprannominato la prima “la Terra dell’Eterna Primavera” ci ha azzeccato. Ventisette gradi costanti o quasi, il vecchio e il nuovo, edifici coloniali e resti della cultura atzeca, l’atmosfera vivace di una città universitaria. Fuggire dalla Ciudad e ritemprarsi a Cuernavaca era un must, alternando gli acquisti al mercato di Palacio de Cortes alle esibizioni degli esuberanti ballerini di salsa a piazza Zocalo.

E della presenza di moltissimi ristoranti di cucina messicana autentica lo vogliamo ricordare? Un’esperienza di quelle che non dimentichi facilmente.

Poi Taxco, l’argentea Taxco. Passai due ore a ammirare quel capolavoro che molti non conoscono: la Chiesa di Santa Prisca. Barocco messicano, costruita in pietra rosa con una magnifica facciata. I turisti, attirati dalle botteghine nei dintorni, la ignorano e non si degnano di conoscere la storia, mista a leggenda, che la contraddistingue.

Infine lo stato di Guerrero, con oltre cinquecento km di costa con spiagge per tutti i gusti e al centro Acapulco, che per i turisti a stelle e strisce è, tutt’oggi, sinonimo di vacanza, mare ed avventure estreme, in tutti i sensi.

Mi chiesi però se, per viaggiatore incallito come il sottoscritto, arrivare lì fosse il risultato agognato al momento della partenza oppure scoprire una seconda Hollywood.

A mente feci due conti storici.

Cristoforo Colombo arrivò ad Hispaniola nel 1492. Nel 1565, appena 73 anni dopo, il Messico era tutto spagnolo ma già invaso da merci cinesi, comunque asiatiche. Come poteva essere avvenuto tutto ciò in così poco tempo?

La risposta stava nella rotta commerciale spagnola tra Manila e Acapulco, la Nao de China, che era anche la tratta per il commercio degli schiavi, chinos esclavos, conosciuta poi come la tratta transpacifica. I galeoni solcavano il Pacifico, portando beni di lusso cinesi e asiatici come spezie e porcellana, in cambio dell’argento.

La mia Acapulco fu questa, ma immaginaria, dove passavo le ore a osservare le onde dell’Oceano fantasticando di vedere all’orizzonte qualche antico veliero. Quella degli altri era invece già allora una destinazione da luna di miele, con tanto di foto a forma di cuore e le scogliere da cui i nativi, per qualche dollaro, offrivano il loro  spettacolo saltando tra le onde.