I risultati della consultazione parallela di Stampa Romana (998 no, solo 73 sì!) e la pressochè totale disertazione delle urne “ufficiali” affondano il referendum-truffa sul ccnl e sanciscono nei fatti una delegittimazione politica chiara da tempo.
Con un arguto intervento, Massimo Alberizzi ha pubblicato sulla pagina FB di Senza Bavaglio un commento alla Caporetto referendaria subita ieri dall’Fnsi sulla questione del contratto.
Una Caporetto misuratasi su due fronti: da un lato, la prevista partecipazione prossima allo zero per il referendum-truffa “ufficiale” indetto con la “tecnica Bongo” (Alberizzi dixit) dall’ineffabile satrapìa federale e, dall’altro, il passivo di 998 no contro 73 sì beccato a Roma nel controreferendum varato nella capitale, stavolta con regole serie, da Stampa Romana.
“Mi domando“, si chiede alla fine Alberizzi: “La Lombarda dov’era? […]. La più grossa associazione regionale non ha fatto una piega davanti al massacro dei colleghi, alla violazione delle regole e degli statuti. E ha accettato di organizzare un referendum farsa. Vergogna!“.
Da un certo punto di vista, ha ragione.
Eppure, a mio modesto parere, proprio per gli impietosi numeri di cui sopra, a Milano, dove il controreferendum non c’è stato, la batosta per l’Fnsi è stata, paradossalmente, anche peggiore.
Perchè non solo si è dimostrato che la categoria, il 50% della quale risiede in Lombardia, non aveva nessuna fiducia in questa ridicola consultazione e nei modi scelti per realizzarla.
Ma soprattutto, come ho a lungo predicato (qui) e auspicato in tempi non sospetti, perchè grazie al tonfo si è sancito il definitivo divorzio tra i colleghi e il (sedicente) loro sindacato.
La disertazione del referendum-truffa da parte della quasi totalità della base vera o presunta costituisce infatti l’attesa delegittimazione politica di un sindacato già delegittimato di fatto e pure di diritto, visto che esso si arroga il potere di decidere (iniquamente) per tutti sebbene non rappresenti che una minoranza della classe giornalistica italiana. Un sindacato talmente arrogante da avere l’impudenza di “sfidare” la categoria indicendo la pecetta referendaria su un contratto squallido firmato alla chetichella.
Che ora la Federazione, ma soprattutto i giornalisti, prendano atto dell’insanabile frattura e traggano le dovute conclusioni.