Se davvero, come sembra, andrà in porto l’agognata legge a tutela della giusta remunerazione del lavoro giornalistico, i liberi professionisti avranno la seconda, indispensabile gamba per camminare da soli. Non è tutto, ma è qualcosa.

Come è noto, per stare ben saldi e stabili su una superficie occorrono almeno quatto gambe.
Ma, se si ha un briciolo di senso dell’equilibrio, per stare in piedi ne bastano due.
Ecco, sono dell’opinione (l’ho esposto diffusamente qui) che, in Italia, la libera professione giornalistica sia simile a una sedia, che per reggersi ha bisogno di quattro gambe: una professionale, una deontologica, una legale e una sindacale.
Quella professionale consiste nella consapevolezza e nella capacità del singolo e dipende, quindi, da fattori squisitamente individuali. Bisogna ammettere che nel nostro paese è una gamba molto debole, fallace.
Su quella sindacale non mi dilungo: non solo la gamba non c’è, ma non c’è neppure la protesi.
Quella deontologica invece c’è da poco, bisogna ancora saggiarne la tenuta, ma esiste: è la Carta di Firenze (qui), che obbliga alla solidarietà economica tra colleghi tutti gli appartenenti alla filiera professionale, dai direttori all’ultimo collaboratore.
Manca, ma dovrebbe essere questione di settimane e quindi parrebbe data per acquisita (l’ha annunciato ieri, sulla sua pagina di Fb, il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino) quella legale: quella, cioè, che riconoscendo ex lege l’esistenza del freelance anche come soggetto professionale titolare di diritti economici, offre alla categoria un secondo, indispensabile sostegno.
La gamba de quo si chiama equo compenso.
Ovvero una norma di legge che sancisce l’obbligo per l’editore di compensare equamente il lavoro giornalistico, a pena di rinuncia ai contributi pubblici all’editoria.
Sorvoliamo per ora sulla definizione di come la soglia dell’equità debba essere individuata.
Resta il fatto che, con l’avvento dell’accoppiata equo compenso-carta di Firenze, per i freelance italiani si apre per la prima volta un binario affidabile sul quale appoggiarsi per la conquista di quella che si potrebbe chiamare una posizione giornalisticamente eretta. Insomma una parvenza di architettura istituzionale, un binomio di fronte al quale, per chi come noi è abituato a navigare a vista e in totale mancanza di punti di riferimento, c’è da stropicciarsi gli occhi.
Le metaforiche rotaie ci offrono infatti una sponda sia sul fronte interno dell’esercizio della professione (sanzionabilità disciplinare per i colleghi di ogni grado che non adempiano al dovere di rispettare la dignità dei collaboratori attraverso la proposta di compensi inadeguati) che su quello esterno (obbligo degli editori di rispettare per gli articoli una tariffa minima inderogabile).
Non è il toccasana, ma è molto.
Qualcosa che potrebbe, se ben sfruttata, riequilibrare i destini di un professione ormai parecchio sbilanciata verso il dopolavorismo, se non il dilettantismo.
Certo, la strada è ancora lunga e farsi illusioni sarebbe sbagliato. Inutile credere che ci saranno più soldi per tutti. Più probabile che, per effetto combinato dell’entrata in vigore dell’equo compenso e delle sanzioni disciplinari pendenti sulle gerarchie redazionali, almeno all’inizio gli spazi si riducano e la conseguenza sia una brusca selezione e l’uscita dal mercato di molti colleghi meno attrezzati.
Una cosa umanamente dolorosa, non c’è dubbio. Ma è di questo che la libera professione giornalistica (divenuta solo apparentemente ipertrofica: decine di migliaia di presunti freelance dei quali però solo un’esigua minoranza riesce a campare del proprio lavoro) ha bisogno. Di cui, anzi, abbiamo bisogno tutti, perchè l’uscita dal mercato dei falsi freelance porterà allo scoperto, indirettamente, anche i tantissimi casi di abusivismo, i rapporti di lavoro dipendente camuffati da indipendente tramite le false partite iva e i contratti di collaborazione, contribuendo al riassetto di una geografia occupazionale che nel nostro mestiere ha davvero perduto la trebisonda.
In meno di un anno, insomma, da smarriti fantasmi disarticolati noi liberi professionisti del giornalismo siamo insomma almeno diventati bipedi.
Incerti, traballanti, ma almeno possiamo ricominciare a camminare.
Quasi non mi sembra vero.