Ha vinto il Drago ed io festeggio (“chi vince fa festa e chi perde va a letto“), ma è stato un po’ surreale e fin troppo complesso. Non tutto il male però potrebbe essere venuto insieme per nuocere. Ora tocca ai senesi.

 

Quello corso ieri a Siena (e vinto con mio grande giubilo dalla contrada del Drago, ma questo è un fatto personale) è un Palio incommentabile. Non solo per la particolarità delle circostanze e per il suo svolgimento, che credo abbia pochi precedenti, ma soprattutto per la complessità delle situazioni, in parte inedite, che vi si sono intrecciate. Situazioni che però potrebbero ripetersi in futuro e che devono costituire un elemento di riflessione.

E’ stato un Palio surreale, come sospeso. Pieno di cautele anche politiche e mediatiche, tattico sotto ogni punto di vista, compreso quello della gestione, che – al di là di chi vince, perchè al Palio chi vince ha comunque ragione e gli altri vanno a letto – ha comprensibilmente innervosito i senesi, sconcertato i non senesi e rivelato tutta l’intrinseca fragilità di una festa che è e rimane, per fortuna, fuori da ogni mainstream. Quindi, come tale, meravigliosamente eretica.

Una festa che è per sua natura composita ma monolitica. E non può abdicare alle sue logiche consolidate. E’ insomma un meccanismo tanto esteriormente inossidabile quanto invece delicatissimo: basta un granello a mandarlo in briciole.

E ieri di granelli insidiosi, vecchi e nuovi, nell’aria ne aleggiavano parecchi: la lunga sosta dovuta al covid, fonte di nervosismo organizzativo e di ansia contradaiola, i fari puntati degli animalisti e delle cosiddette “nuove sensibilità“, un mossiere nuovo, subentrato per necessità e quindi inesperto (fare il vice per lungo tempo è ben diverso che essere in prima linea sul verrocchio e si è visto), le infinite incognite, ognuna in parte indipendente dalle altre, legate alle strategie di contrade, fantini, proprietari dei cavalli e capitani che li scelgono, in una spirale così articolata e intrecciata che è impossibile da spiegare compiutamente a chi non la coglie “a pelle” e ai non addetti ai lavori.

Spirale che ha però generato (e continuerà a generare: il 16 agosto si ricorre!) un’esplosione di sentimenti contrastanti e di questioni urgenti, bisognose di soluzioni rapide ma ponderate.

Chiariamo una cosa: giudicare il Palio, sotto tutti gli aspetti, in base alle trasmissioni tv è impossibile perfino per gli esperti e i contradaioli, figuriamoci per i profani. Ed è impossibile poterlo giudicare a priori, senza toccarlo con mano dal di dentro. Figuriamoci senza sapere o per sentito dire.

Detto questo, parlare del Palio del 2 luglio 2022 (vittoria a parte, come ho detto) è difficile anche per me, che dal vero e da ogni posizione ne ho visti almeno un centinaio e lo conosco bene.

Ci sarebbero troppi dettagli da analizzare uno per uno, ognuno indispensabile per mettere insieme un mosaico immenso.

Alla fine – è paradossale, lo so – potrebbe essere un Palio che, scontentando tutti, accontenta tutti: nessun cavallo si è fatto seriamente male, quelli infortunati sono stati ritirati senza gravi conseguenze, disinnescando sul nascere le polemiche animaliste, il fantino del Bruco Stefano Piras detto Scangeo, caduto alla quinta mossa falsa, se l’è cavata con un malanno non grave alla spalla, nella piazza si sono registrati solo tre lievi malori nonostante i 36°, nessun grosso scontro tra i contradaioli, enorme delusione e  rabbia per le quattro contrade escluse, che però possono sperare di rifarsi nel non lontano Palio dell’Assunta.

Ecco, appunto.

Per il 16 agosto è necessario che, con un collettivo sforzo di metabolizzazione, tutti i problemi e tutte le questioni emersi in un sol botto ieri vengano almeno in parte riassorbiti o ricondotti a ragione: scelte dei cavalli, politiche dirigenziali, riequilibrio dei poteri e sovraesposizione mediatica.

Scommessa impossibile, forse, ma sfida a dir poco necessaria.