Su FB un tizio, sedicente genetista, interviene a commento del mio articolo sul pane da grani antichi (qui) e, equivocando su un sacco di cose, piazza l’affermazione finale: “Grazie all’industria oggi c’è più biodiversità di cent’anni fa”. Ha davvero ragione lui?
Scienziati, studiosi, sapienti e soloni: scusatemi!
Ma da profano devo porvi pubblicamente una domanda che mi è nata spontanea da quando, in rete, commentando un mio articolo a proposito del pane da grani antichi (qui), un tizio ha fatto un’affermazione più o meno di questo tenore: “Oggi c’è più biodiversità di prima, perchè grazie agli ibridi creati dall’industria (nello specifico si riferiva a sementi agricole) abbiamo a disposizione molti più tipi di grano di cento anni fa“.
La cosa mi fa fatto trasalire perchè, nella mia ignoranza, ero convinto che la biodiversità indicasse l’esistenza di specie diverse esistenti in natura, frutto dell’evoluzione e di ibridazioni naturali. Pensavo che fosse a rischio. Non mi era mai venuto in mente che potessero definirsi “biodiverse” anche le varietà create artificialmente. In quanto, se così fosse (almeno secondo la mia logica primitiva), la biodiversità del sistema terra potrebbe essere amplificata all’infinito, svuotandosi così dall’interno il concetto stesso di biodiversità. E coltivavo la convinzione che essa, in quanto valore e risorsa limitata e vulnerabile, andasse protetta.
In altre parole, secondo le idee del mio antagonista, la biodiversità sul pianeta non starebbe invece riducendosi, ma dilatandosi.
Ho avuto un attimo di disorientamento, poi mi sono documentato.
E, in effetti, sulle prime tutte le pur modeste fonti a cui ho attinto sembravano dare conferma alle mie iniziali certezze.
Poi ho riflettuto e mi sono detto che, in effetti, nella storia sono molte le varietà create dall’uomo attraverso incroci ed entrate poi nella “biodiversità”. Ma è anche vero, ho proseguito, che tali ibridazioni non erano avvenute attraverso la manipolazione diretta del patrimonio genetico, bensì mediante tecniche di ibridazione “naturali” (o meccaniche, o esterne, o come si dice: perdonate la mia mancanza di tecnicismo).
C’è dunque, a mio parere, una bella differenza tra queste e le ibridazioni seriali, praticamente infinite, che la ricerca e i laboratori possono mettere a punto a fini industriali attraverso la manipolazione genetica. E resto convinto che qui sta il grande discrimine.
Allora mi chiedo: sono io un allocco ignorante (cosa certamente plausibile) che crede semplicisticamente alle favole o esistono persone così accecate dalla propria formazione culturale, dai propri studi, dal proprio lavoro, dai propri interessi e dal proprio ego da essere capaci di andare contro la scienza, la logica e l’evidenza? Con il rischio, correlato, di fungere da pessimi maestri di altri sprovveduti?
Giuro che non è una domanda retorica.
Naturalmente non voglio farne una questione etica, che porterebbe lontano, ma desidererei restare sul piano squisitamente scientifico: la definizione (anzi, l’idea, la nozione) corretta di biodiversità è la mia, quella del mio confutatore o un’altra ancora?
Grazie a chi saprà chiarirmi le idee.