Crestomazia esperienziale semiseria del primo giorno in fiera
VESPASIANE E VESPASIANI
C’è un vecchio film, credo abbastanza famoso, che mi pare si chiami “In her shoes“. È la storia tragicomica di un tizio che, di colpo, si trasforma in donna e si trova ad affrontare con assoluto sgomento tutti i disagi di un’esistenza al femminile.
Oggi ne ho fatta anch’io una piccola esperienza.
Sospinto da necessità mingitorie, ho raggiunto uno dei vasti e confortevoli bagni della fiera. E lì, con enorme stupore, mi sono trovato in fila. Non per il wc, ma proprio per il vespasiano. Li ho contati, erano sedici. Tutti occupati, con uomini in paziente attesa. Prima volta che vedo una cosa simile in 58 anni di onorata pipì! Hanno lanciato il vino-diuretico e non me n’ero accorto?
L’ORETTA ACCADEMICA
Il quarto d’ora accademico è una delle scuse ufficiali per giustificare uno dei difetti nazionali, ovvero la mancanza di puntualità.
Al Vinitaly, dove tutto è dilatato, il quarto d’ora diventa un’oretta: il tempo per arrivare in fiera, il ritardo per l’inizio di presentazione e conferenze stampa, l’attesa per la navetta che, dopo seicentotrenta minuti di fiera ed estremità disfatte, dovrebbe riportarti in hotel.
Solo l’uscita dal parcheggio infrange la norma: quella dura un’ora e mezzo.
LO SBROCCO DEI BLOGGER
Alcuni bene informati mi dicono che a questo Vinitaly sono quasi spariti i blogger.
Sarà vero?
Colpa (merito), dicono sempre i bene informati, delle maglie assai più strette rispetto al passato adottate nel rilascio degli accrediti stampa. E vorrei ben vedere, aggiungo.
Domani indagherò meglio per capire se la notizia è fondata e quali siano le cause della ventilata moria.
Su una cosa però non ho dubbi: le vispe terese dell’enotastiera scarseggiano sul serio. Lo si intuisce dal tenore di certe conversazioni. Languono, con esiti eccellenti, anche le fashion blogger, da tempo pericolosamente vicine al mondo del vino. Peccato solo per qualche minigonna in meno.
UN BICCHIERE, MILLE COLORI
La mia idiosincrasia verso shottini e veleni alcoolici per giovinastri è arcinota almeno quanto la loro inarrestabile ascesa commerciale.
Tra i padiglioni, camuffati da qualcosa di bevibile, oggi ho visto realmente di tutto e in ogni tonalità.
Altro che il quasi topicida blu elettrico bevuto ad Amsterdam due settimane fa, che neanche il vestito della Raggi.
Mia madre, da piccolo, mi diceva di non mangiare con gli occhi. Qui però mi sa che questi con gli occhi ci bevono. Forse perché pensano che tanto in corpo c’è buio? Poi però le farfalle le vedono a colori. E come girano, per la stanza!
BEVI, GOVERNO LADRO
Dopo Zaia, Salvini, Di Maio, Martina e Meloni ieri, buon ultimo (almeno credo), la passerella vinitaliana è toccata a Gentiloni.
E – governo uscente e entrante ladro – nemmeno è piovuto.
Me, però, questa crescente tendenza dei politici a fare teatrino col bicchiere in mano preoccupa parecchio, perché significa che il vino fa trend, fa status, fa scena.
Pessimo segnale.
Che beneficio può portare al vino italiano un politico che brandisce un bicchiere? Che messaggio trasmette: emulazione, affidabilità, garanzia?
Mah, preferivo quei vecchi ministri un po’ grigi che non facevano finta di intendersene, sfoderavano il politichese anche parlando di Sangiovese e, con studiato pudore perbenista, evitavano di farsi fotografare in prossimità del fiasco.
Questi invece il vino lo tracannano e poi il fiasco, politico, lo fanno.