Traditore? Macchè. E’ il calcio che è diventato tarocco e somiglia sempre più al wrestling, popolato di atleti-fenomeno superpagati che recitano la parte su campi di gioco virtuali. Con emiri e petrolieri che il circo ormai se lo portano nel giardino di casa.
Personalmente rimango tra gli scettici (nonché contrariati) per la piega che hanno preso le cose, ma pare che il passaggio di Eto’o all’Anzhi, semisconosciuta squadra russa con sede in Daghestan (!) sia cosa fatta. Sessanta milioni (dicesi 60) di euro al giocatore in tre anni e ventotto (dicesi 28) all’Inter.
E’ ovvio che in casa interista e in generale sulla stampa sportiva non si parli d’altro. E che le opinioni si dividano.
Varie le scuole di pensiero.
C’è chi taccia il camerunense di essere un traditore come Ronaldo e basta. C’è chi pensa che Moratti sia impazzito. C’è chi legge nella cessione le avvisaglie del progressivo disimpegno del patron, con la scusa del fair play finanziario. C’è invece chi scorge nella scelta del centravanti la saggia strada verso una dorata pensione nel momento in cui il fisico comincia a declinare. C’è infine chi vede nella vicenda solo un grande affare e un’offerta alla quale né il giocatore né la società possono, cinematograficamente, dire di no.
Probabilmente una parte di verità sta dappertutto.
Ma ce n’è un’altra che sfugge, perché è meno solare. E di cui il caso interista è solo uno dei tanti sintomi che aleggiano sul sistema calcio, anzi sul sistema sport.
La finanziarizzazione dello sport è cominciata quando la componente sportiva ha iniziato a lasciare il posto a quella spettacolare. Lo spettacolo porta più gente dello sport. Porta più consumatori, più utili. Da qui l’esplodere del merchandising, delle sponsorizzazioni, degli impianti con i “servizi” (tribune coperte, ristoranti, alberghi, negozi: in pratica centri commerciali, indotto compreso, costruiti attorno a un campo di pallone), il circuito mediatico, la divizzazione degli atleti.
Divenuto un business globale – e quindi bisognoso di un pubblico tipologicamente trasversale – in quindici anni il calcio ha perduto via via gli attributi fondamentali che per un secolo lo avevano contraddistinto. Prima la sua “maschilità” (“perché, perché la domenica mi lasci sempre sola…”). Poi i suoi presidenti-tifosi. Poi le sue bandiere in campo. Poi le identità tattiche (mica sarà un caso che il calcio delle nazionali, inteso come espressione tecnica del gioco di un certo paese, abbia perso appeal e significato a vantaggio di quello dei club e dei tornei internazionali?). Poi la proprietà delle sue squadre-simbolo. Ora i suoi paesi-leader.
Divenuto un circo, i protagonisti sono inevitabilmente nani e ballerine, con ampia profusione di pagliacci e mediatori. Mercenari a tutti gli effetti (sia detto senza alcuna condanna morale, come semplice constatazione). Personaggi dello spettacolo che, simili alle stelle tv, cambiano casacca in virtù della migliore offerta. E con l’affacciarsi sul mercato di capitali ingentissimi provenienti dalle nazioni calcisticamente più improbabili, come la Russia o gli Emirati, il baricentro del sistema tende a spostarsi a quelle latitudini.
Fino a ieri era un baricentro, per così dire, azionario: gli emiri arabi e i petrolieri russi si limitavano a comprare i pacchetti di maggioranza delle più grandi squadre europee, che per i giocatori rappresentavano il massimo, irrinunciabile palcoscenico.
Il caso Eto’o dimostra però che anche questa fase è agli sgoccioli e che i nuovi padroni si vogliono portare il tendone circense a casa loro, figuranti inclusi. E’ la tappa finale. La fine, per consunzione, del ‘900 sportivamente inteso, quello del calcio professionistico. E l’inizio di una nuova era in cui pochi divi atleticamente superdotati sono i protagonisti unici di uno spettacolo camuffato da sport, relegando tutti gli altri al ruolo di fungibili comprimari.
Come nel wrestling, insomma. Un pubblico di bocca buona, a cui piacciono la scena e la scenografia. Lottatori dal fisico bestiale, ma avvezzi più alla simulazione che al combattimento. Un’enorme massa di sparring partner e di figure ausiliarie dietro le quinte, indispensabili a far funzionare lo show. Una macchina mediatica formidabile, capace di tenere alta l’attenzione e perfino di creare un’atmosfera da arena che nella realtà non c’è. Esattamente come nei nostri stadi semivuoti, con i telecronisti che però te le fanno credere bolge di tifo.
Alla luce di questo, non si capisce perché uno dei dieci più forti giocatori del mondo, come Eto’ò (seguito presto, c’è da scommetterci, da molti colleghi di pari prestigio), in cambio di quaranta milioni di euro non dovrebbe andare a sgambettare nell’ex periferia dell’impero, sul prato del comunale di Makhachkala, capitale del Daghestan e sede dell’Anzhi. Glorioso football club fondato nientepopodimeno che nel 1991.