Trascorsi le vacanze di Natale del 1973, come sempre, nella nostra casa di campagna.
Faceva un freddo becco (non c’era il riscaldamento), così tutti battevano i denti ma, per principio e dovuta compostezza, nessuno batteva ciglio: caminetto in salotto e basta, doppio maglione e via. Ricordo che ne indossavo uno marrone, di lana pesante, fatto a mano dalla nonna naturalmente, con un bel colletto a risvolto che amavo molto.
Passai quelle feste a qualche metro dal fuoco, seduto sulla poltrona di un salottino di vimini anni ’20 che poi i ladri, che Dio li strafulmini tra pene infernali, portarono via.
Ad inchiodarmi lì, un librone che conservo tuttora.
Si intitolava “Alta Cucina del delitto – Le avventure di Nero Wolfe” ed era ovviamente una raccolta dei gialli di Rex Stout che avevano come protagonista l’omonimo personaggio, pachidermico investigatore privato nato in Montenegro e residente a New York, in una “vecchia casa di arenaria” sulla 35° Strada West, coltivatore di orchidee, gran gourmet e bevitore di birra.
Fu una lettura indimenticabile per tre motivi.
Il primo è che Nero Wolfe mi faceva impazzire sia per le sue indagini, sia per lo stile letterario con cui l’autore le descriveva. Il secondo è perchè, come suggeriva il titolo, il tomo raccoglieva le storie in cui la componente gastronomica (un presagio del mio futuro professionale?) era rilevante: non a caso l’astuto editore aveva corredato la terza di copertina con una tasca ove aveva fatto inserire le ricette con foto a colori delle raffinate leccornie cucinate da Frits Brenner, il cuoco privato di Wolfe, provocandomi così, alla sola vista, languori ed acquoline. Il terzo e forse più importante era che, attraverso la lettura, potevo rivivere le stesse vicende che anni prima avevo divorato con gli occhi nella serie di sceneggiati tv dedicati dalla Rai ai casi di Wolfe. Dove lui era interpretato da un grande Tino Buazzelli e il suo braccio destro, l’agile Archie Goodwin, da Paolo Ferrari. La faccia del quale, da allora e nonostante altre mille interpretazioni teatrali, cinematografiche e pubblicitarie, nella mia immaginazione ha sempre e solamente coinciso con quella di Archie.
Ecco, apprendo stamattina dai giornali che Paolo Ferrari, cioè Archie Goodwin, è morto oggi all’età di 89 anni.
Non è un bel segno e, soprattutto, non è una bella domenica.
Ora però so almeno come la trascorrerò.
E vi lascio per andare a rovistare in biblioteca.