L’educational è uno terreni più insidiosi del giornalismo. Giustamente criticato, e spesso snobbato, perchè usato a volte come mero strumento per ottenere pubblicità occulta, il genere gode di una vasta aneddotica che va dai trombescional ai vacanzescional. Eppure ogni tanto capita di imbattersi in eductour ben fatti: seri, professionali, senza pressioni, senza marchette preconfezionate. Come in un recente viaggio pugliese alla scoperta dei “Rosati in terra di Rosati“. Chapeau! E complimenti agli organizzatori.
Si dica quello che si vuole, ma alla fine è una questione di manico. Se il viaggio è ben preparato si procede senza scossoni o imprevisti, altrimenti sono dolori. La previdenza deve comprendere ogni dettaglio: come, dove, quando, chi. E, soprattutto, perché.
Chi mi legge sa che non partecipo spesso ai viaggi stampa, i cosiddetti educational. Non per sciocco snobismo, come fanno quelli che si atteggiano a “seri”. E’ che sovente, nonostante l’ammirevole tentativo di mediazione degli organizzatori, queste occasioni si trasformano in noiose ed inutili perdite di tempo: tappe forzate di nessun interesse (tranne quello commerciale del committente, è ovvio), compagnie insopportabili e mal assortite, interessi ed esigenze incompatibili, sistematico occultamento del male ed esagerata esaltazione del bene agli occhi degli invitati. Tutte cose da cui un giornalista dovrebbe tenersi ben lontano, anche per evitare di finire nella considerazione altrui (cioè dei colleghi e degli stessi ospiti) tra i cosiddetti “tartinari”, ovvero quel vasto sottobosco di giornalisti di bocca buona che sfruttano sistematicamente gli inviti per farsi viaggetti di piacere o, peggio (ma succede, eccome!), per sbarcare il lunario.
Come ho detto, l’eductour può avere diverse varianti. Si va dal vacanzescional, cioè dal viaggio organizzato (spesso all’insaputa di chi paga) per portare “in vacanza” un gruppetto di persone già collaudate e amiche tra di loro, con finalità quindi molto edonistiche e molto poco professionali, ai più eccitanti trombescional che, come il termine anglobecero fa intendere, alle finalità suddette ne aggiungono altre più esplicitamente prossenetiche.
Non ho avuto dubbi, tuttavia, nell’accettare una proposta ricevuta per la fine di luglio: un itinerario che, facendo fulcro su Ceglie Messapica, portava me e alcuni altri ottimi colleghi nel leccese e nel brindisino, alla scoperta dei vini (e dei produttori di) rosati pugliesi prescelti nell’ambito di “Rosati in terra di Rosati”. Un’iniziativa che, intelligentemente, vignaioli, consorzi, associazioni e pubbliche amministrazioni locali (Buona Puglia, AIS, Donne del Vino, Nicotels, Vestas, Ceglie è) portano avanti da molti anni per valorizzare le loro eccellenze attraverso il contatto diretto con i consumatori in ristoranti ed enoteche del territorio regionale.
Ho deciso di partecipare all’evento per tre essenziali ragioni: un programma ben calibrato, pensato in base alle concrete esigenze dei giornalisti presenti, intenso ma senza “deportazioni”; una scelta ineccepibile delle aziende da visitare, selezionate non solo in base al nome o al contributo economico dato all’iniziativa, ma alla varietà delle tipologie di vino prodotte, a un’ubicazione geografica rappresentativa delle caratteristiche delle diverse zone, ai differenti “stili” e anche alle dimensioni e alle filosofie commerciali di ognuna, in modo da offrire un quadro esaustivo della reale situazione produttiva dell’area; un gruppo di partecipanti ridotto, coeso, professionale, disponibile e competente, garanzia di un tour proficuo e piacevole.
Il tutto, va detto ad onore del merito, sotto la sapiente regia di un addetto ai lavori di grande preparazione ed esperienza nel settore enoico come l’amico e collega Franco Ziliani e di uno chef con il “vizietto” dell’hotellerie come Francesco Nacci, titolare con la moglie Evelyn del Relais (nonché wine hotel, interessante esperimento enogastroalberghiero) “La Fontanina” di Ceglie. Un uomo capace di dare alle cose il gusto della più calda ospitalità pugliese con l’asciutta discrezione del bravo padrone di casa.
Tanto per dare un’idea della piacevole intensità di quest’esperienza “in rosa”, ecco alcuni numeri della “5 giorni” trascorsa in terra messapica e salentina:
Vini assaggiati (tra bianchi, rossi e rosati): 72, inclusi i 18 rosati selezionati ad hoc per la manifestazione durante l’ultimo Vinitaly da Ziliani e altri 30 degustatori e i rossi di una memorabile verticale di Notarpanaro (1988, 1990, 1994, 1997, 2001) e di Patriglione (1988, 1993, 1994, 1995, 1997, 1999, 2000) allestita estemporaneamente dall’inarrestabile Nacci.
Aziende visitate: 9 (Cantina Due Palme, Masseria Li Veli, Tormaresca, L’Astore, Santi Dimitri, Agricole Vallone, Azienda Monaci, Cantina Copertinum, Michele Calò).
Ristoranti testati: 5 (Fornello da Ricci, La Fontanina e Cibus a Ceglie Messapica; Osteria già Sotto l’Arco a Carovigno; Trattoria La Puritate a Gallipoli).
Città visitate: 3 (Ostuni, Ceglie Messapica, Gallipoli).
Morale: un ottimo approfondimento di vini, aziende, territorio, tendenze, produttori, enologi; una serie di gratificanti test gastronomici, con molte conferme a qualche defaillance; un piacevole affiatamento con i colleghi, con giuste appendici di cazzeggio per nulla nocivo alla serietà degli appuntamenti; una bella e utile conoscenza di luoghi, paesi, cittadine, scorci e campagne, a volte belli e a volte meno belli, ma senza dubbio veri. E infine un bel ricordo, di quelli che spingono a tornare.
Dimenticavo: che c’entra il rock’n’roll? C’entra, c’entra. Primo perchè c’entra sempre. E secondo perchè, ovunque tu vada, scopri sempre che c’è qualcuno che lo ama come te. Chiedere a Juancho Asenjo per delucidazioni del caso. Meglio se in chiave power pop…