Partono le celebrazioni a un secolo dalla scomparsa dell’Artusi e tutto il mondo pare riscoprire la figura del divulgatore gastronomico romagnolo. E così mentre, per ricordarlo, con altri undici “eroi” mi appresto a intraprendere il lungo (117 km in cinque giorni: 26-30/3!) cammino da Forlimpopoli a Firenze, soavi coincidenze principiano ad aggrumarsi sulla mia testa nel nome del leggendario Pellegrino…
Non ho difficoltà ad ammetterlo: fino a un paio di mesi fa avevo abbondantemente sottovalutato, forse perfino snobbato la ricorrenza artusiana che cade il 30 marzo prossimo con il centenario della scomparsa dell’autore de “L’arte di mangiar bene”.
Sì, d’accordo, l’Artusi è il padre della cucina italiana contemporanea, il paziente nocchiero tra i fornelli delle nostre mamme e delle nostre nonne, il codificatore dell’italica gastronomia, l’equivalente culinario – in quest’anno di celebrazioni patriottiche e risorgimentali – dell’unità nazionale, tutto quello che volete, ma insomma io l’avevo preso sotto gamba.
A farmi accendere la lampadina fu, a metà dello scorso gennaio, il collega Leonardo Romanelli, quando tra il lusco e il brusco mi chiese se mi andava di unirmi a lui in un “pellegrinaggio” ideato per omaggiare la memoria dello scrittore. Gli dissi di sì, senza pensare troppo né all’impegno fisico, né a quello morale, né al fatto che la cosa si tramutasse poi in qualcosa di concreto.
Eppure, da allora, come spesso misteriosamente accade, attorno a quel personaggio l’entropia ha cominciato a salire. Circostanze, coincidenze, combinazioni hanno principiato a moltiplicarsi. Fatalità? Segnali del destino? Mah, con l’esperienza ho imparato a non farmi domande. Però noto quanto succede. E ciò che succede è che, per limitarsi a me, l’Artusi ha cominciato a insinuarsi nella mia vita come mai prima.
Prima di tutto c’è il pellegrinaggio che, da idea estemporanea, si è trasformato in evento: dal 26 al 30 marzo saremo in undici tra giornalisti, cuochi e appassionati a scarpinare lungo i 117 km della statale 67 che separano Forlimpopoli, città natale del nostro, a Firenze, dove Pellegrino morì giusto un secolo fa.
Poi c’è la scoperta di tanti altri eventi organizzati in concomitanza. Poi, ancora, il ritrovamento casuale, tra i libri dimenticati negli scatoloni degli antenati, di tre diverse edizioni antiche dell’opera artusiana. Quindi il fatto, piuttosto incredibile, che la traduzione in inglese del volume dell’Artusi è diventato il libro di testo ufficiale per le esercitazioni dei miei studenti di giornalismo delle università americane di Firenze.
Insomma una sfilza di sorprese.
E a dimostrazione del progressivo diffondersi dello “spirito” artusiano tra le maglie dei giorni che precedono il 30 marzo, ecco arrivare l’”artusino”, un omaggio-portafortuna ideato dall’orafo artigiano fiorentino Paolo Penko come tributo al nostro: un ciondolo realizzato in fusione a cera persa e lavorato a mano. Sarà senza dubbio il mio talismano durante il pellegrinaggio. Viste le distanze da coprire, ce ne sarà bisogno. Ma sarà sempre e comunque un’esperienza indimenticabile.