Nel maniero venostano cinque chef stellati hanno celebrato la quarta tappa di un viaggio-gourmet tra cucina, tradizione e paesaggio. Con le ombre dei karrner attorno e una forchetta che, come nel logo, srotola il gomitolo della storia e dello skyline.

Una delle cose che più invidio agli altoatesini è che, ciò che dalle nostre parti è folklore (spesso anche un po’ ridicolo e a volte posticcio), per loro è una tradizione reale, da rispettare e valorizzare. Ci credono, insomma. E questo rende il tutto più credibile anche agli occhi del prossimo.
L’altro giorno, ad esempio, a Castelbello in Val Venosta si celebrava la quarta tappa (l’ultima è il 6 settembre a Castel Pienzenau) di una bella iniziativa estiva che da qualche anno si ripete: “Stelle, malghe, castelli” (info qui). Dove le stelle sono quelle dei cinque chef stellati circumeranesi chiamati a cucinare, le malghe sono i locali per i quali gli stessi chef, da maggio a settembre, creano ad hoc dei piatti che restano in carta per l’intero periodo e i castelli sono quelli in cui si tengono cinque cene di gala gourmet curate dai medesimi chef.
Si tratta di una manifestazione intelligente, perchè oltre a perseguire gli ovvii fini di promozione generale del territorio, funge anche da occasione di ritrovo collettivo per la clientela più affezionata (c’era gente venuta da Francoforte e dalla Sicilia) dei ristoranti coinvolti e, quindi, contribuisce sia a rinforzare la fidelizzazione degli avventori abituali con i singoli locali, sia a fargli venire voglia (ma restando nella medesima area geografica) di provare la cucina degli altri chef.
E che chef: Gerhard Wieser, 2 stelle Michelin e 18 punti Gault Millau, del ristorante “Trenkerstube” di Tirolo; Alois Haller, 1 stella Michelin e 15 punti Gault Millau del ristorante Hotel “Castel Fragsburg” di Merano; Andrea Fenoglio, 1 stella Michelin e 16 punti Gault Millau, del ristorante “Sissi” di Merano; Anna Matscher, 1 stella Michelin e 16 punti Gault Millau, del ristorante “Zum Löwen” di Tesimo e infine Jörg Trafojer, 1 stella Michelin e 16 punti Gault Millau, del ristorante Kuppelrain di Castelbello.
Ed è toccato ovviamente a Jorg e a sua moglie Sonja fare da gran cerimonieri alla serata di gala venostana organizzata nel magnifico castello (omen nomen!) che si trova proprio di fronte alla loro locanda. La quale, va da sè, è uno dei miei ristoranti preferiti (ne ho parlato qui).
Ecco, è a questo punto – per riprendere il discorso iniziale – che i Trafojer al completo (coinvolti in pieno, infatti, anche i due figli Kevin e Natalie, quando si dice un’impresa familiare!) e l’Associazione turistica Castelbello-Ciardes hanno giocato l’asso nella manica. Andando a rispolverare, per dare alla serata un contorno di intrattenimento e di animazione che fosse anche genuinamente territoriale, la storia del karrner. E a farne il fulcro dell’evento.
Prima, di cosa fossero i karrner non avevo la più pallida idea. “Zingari“, mi aveva detto sbrigativamente qualcuno. Ma io non ero convinto e così ho fatto una breve ricerca, scoprendo cose molto interessanti.
Quello dei karrner (che si potrebbe tradurre come una via di mezzo tra il “barrocciaio” toscano e il venditore ambulante) è un fenomeno tipicamente venostano nato a metà del ‘700 e durato fino agli anni ’30 del secolo scorso, con una coda anche nel dopoguerra. Si trattava in effetti di una sorta di nomadismo. Ma un nomadismo locale, di natura socioeconomica. Di pendolarismo nomade, in altri termini. E circoscritto all’area della sola Val Venosta. Un nomadismo di necessità e non culturale.
Lo si potrebbe descrivere, storicamente, come la conseguenza popolare dell’abolizione del fedecommesso, ovvero dell’indivisibilità ereditaria degli immobili, che nello stesso periodo, in altre regioni, condusse alla dissoluzione dei grandi patrimoni aristocratici. Accadde così che le piccole proprietà fondiarie valligiane, divise e poi ridivise tra molti eredi, assumessero dimensioni troppo ridotte per mantenere la famiglia che le possedeva. La quale, formalmente non nullatenente ma divenuta troppo povera per rimanere stanziale sul fondo, prendeva così a girare la valle campando di espedienti, artigianato, piccoli commerci e lavoretti, trascinandosi dietro un carretto coperto che, per l’intero tour, fungeva da casa, giaciglio, magazzino e mezzo di trasporto. E solo periodicamente tornava a casa, una casa rimasta fatalmente indivisa tra i tanti coeredi. Dove il nucleo si tratteneva per breve tempo, spesso convivendo con gli altri consanguinei in una sorta di comunità allargata a tempo determinato.
Ecco, all’ingresso e nel cortile del castello gli ospiti della serata hanno trovato ad attenderli i karrner, con le loro cianfrusaglie, i bambini laceri, le donne insistenti, i loro canti, le loro storie. Il tutto senza oleografie e senza cartapesta, ben inserito nel contesto, quasi filologico, nessun intrattenimento interminabile, ma una presenza al tempo stesso colorata e discreta.
Poi i nomadi e le loro povere cose si sono dissolti e gli ospiti sono saliti nei saloni da poco restaurati del castello, dove hanno potuto godersi un menu a base di filetto di manzo affumicato tiepido su crema di fegato d’anatra e insalata d’erbette di Gerhard Wieser (voto 8), risotto ai peperoni dolci piccanti e menta di Andrea Fenoglio (voto 7+), filetto di branzino pescato con verdura mediterranea di Anna Matscher (voto 6 e 1/2), filetto e guancia di vitello con sedano e carote, spuma di patate, porci e fiordalisi di Coldrano di Jorg Trafojer (voto 8 e 1/2) e albicocca della Val venosta, cioccolato bianco e mandorla di Alois Haller (voto al piatto 7 e 1/2, voto all’architettura 9). Il tutto accompagnato da uno spumante metodo classico della cantina Befelhof della Val Venosta, un Sauvignon Sankt Valentin 2011 di St. Michael di Appiano, un Cornelius Merlot-Cabernet 2007 di Colterenzio, uno Chardonnay Cardellino 2011 di Elena walch, un Merlot Siebeneich Riserva 1999 della Cantina produttori di Bolzano e un Gewurtztraminer Roen VT 2010 della cantina di Termeno.
Poi, volendo lavorare di suggestione, ci sarebbe anche da riflettere sulle paradossali analogie tra la storia dei karrner e quella Elvira Von Hendl, ultima contessa della casata, morta in solitudine e in povertà proprio in quel castello all’epoca quasi diruto, appena quindici anni fa. Dopo una parabola personale che aveva reso la sua vita molto più simile a quella degli antichi barrocciai della Val Venosta che non a quella di una nobildonna del suo rango.
Ma questa è un’altra storia, che prima o poi racconterò.