Dal 18 al 20 gennaio si riunirà nuovamente il Consiglio Nazionale dell’Odg per tentare di trovare una soluzione alla spinosa questione. Speranze? Quasi zero. Perchè c’è chi, invece di accontentarsi di ciò che finora ha avuto, pretenderebbe di averlo per sempre. Rischiando di trascinare a fondo l’intera categoria.
A leggere tutte le sciocchezze che si scrivono a proposito dell’ormai notissima questione dell’abolizione dell’elenco dei pubblicisti c’è da restare strabiliati.
Non tanto per la portata, pur a volte enorme, delle topiche. Ma per il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi esse provengono proprio dai giornalisti, cioè dai diretti interessati (nonchè i teorici, anzi molto teorici a giudicare da ciò che dicono, addetti ai lavori).
Dal 18 al 20 gennaio è in programma a Roma una nuova riunione del Consiglio Nazionale dell’Ordine, dopo quella del dicembre scorso, nel vano tentativo di trovare una soluzione al caso. Vano perché il consiglio stesso, già abitualmente spaccato in schieramenti trasversali, è stavolta diviso pure verticalmente tra coloro che di solito si sparpagliano tra “partiti” diversi: ovvero tra pubblicisti (73 membri) e professionisti (77). Difficile sperare in un’intesa.
In pratica, è un muro contro muro. In cui i primi, in mancanza di prospettive e di vie d’uscita, preannunciano una difesa della posizione fino alla morte. E in cui i secondi, sospesi tra un disinteresse sostanziale e il sussiego che si riserva alle cose che non ti toccano da vicino (ma da lontano sì, visto che le quote di 80mila pubblicisti sono linfa per l’organizzazione), spesso buttano lì proposte miranti, più che altro, a evitare travasi di massa da un elenco all’altro. Così, chi dice cose sensate finisce per non essere ascoltato né dagli uni, né dagli altri.
Aldilà di tutto, una sola cosa sembra certa. Tanto che ormai tutti la danno per scontata: dal 13 agosto 2012, bisogna dire addio ai pubblicisti. Il dado è tratto. Sul perché quest’esito sia ineluttabile, mi sono già espresso (qui) e non ci torno sopra. Rimando ai numerosi post che l’ottimo collega Antonello Antonelli ha pubblicato sul suo blog (ad esempio qui).
Gli interrogativi a cui dare una concreta risposta rimangono invece due:
1) Nelle more, i consigli regionali dell’OdG possono nominare nuovi pubblicisti?
2) E, professionalmente parlando, che fine faranno quelli che già lo sono?
Mentre al primo quesito la risposta logica parrebbe essere “no”, perché non avrebbe senso creare nuovi giornalisti “a termine” (ma – memento! – siamo in Italia, la patria delle acrobazie dialettiche e dei compromessi creativi), quella al secondo necessita di maggiori articolazioni.
Piace per praticabilità e buon senso quanto suggerito dall’ex presidente dell’Ordine lombardo, Franco Abruzzo: “congelare” i pubblicisti in una categoria ad esaurimento, destinata così ad estinguersi col trascorrere del tempo, in modo naturale.
Sarebbe forse la soluzione meno dolorosa, ma anche la più compromissoria, perché di fatto lascerebbe pressoché inalterato lo status quo della professione, ovvero un’anomalia per la quale in Italia, contro la normativa europea, esistono decine di migliaia di soggetti iscritti a un albo professionale senza aver superato alcun esame di stato.
Un’altra ipotesi, più pragmatica della precedente ma bisognosa di criteri ben definiti e di meccanismi applicativi non facili da individuare, è invece quella di stabilire una soglia reddituale al di sopra della quale sia possibile, per i pubblicisti che esercitano di fatto la professione in modo esclusivo o prevalente, accedere all’esame e “passare” professionisti. Una soglia bassa a sufficienza da non costituire un ostacolo insormontabile (soprattutto in tempi di crisi e quindi di bassi redditi) e alta a sufficienza da garantire di fungere da autentico filtro tra “professionali” e non.
Il problema è che, in seno al Consiglio dell’OdG, il blocco dei pubblicisti (o meglio, quello di coloro che formalmente li rappresentano ma che non sempre, in verità, riflettono il pensiero della categoria) sembra tacciare di “barzelletta” qualunque proposta diversa dall’insostenibile mantenimento dell’attuale assetto ordinistico. Una posizione che non solo manca di realismo, ma va contro gli interessi sostanziali di tutti quei giornalisti che, per continuare a esercitare la professione che dà loro concretamente da vivere, hanno invece bisogno come l’aria di una soluzione rapida, equa e praticabile. Ad esempio quella ipotizzata di Michele Partipilo, che a fianco dell’idea di un “contenitore ad esaurimento”, per i pubblicisti prevederebbe anche il mantenimento di una rappresentanza all’interno degli organismi professionali e la possibilità per chi lo vuole di accedere, entro un quinquennio e via la frequentazione di corsi di formazione, all’esame di stato.
Certo, non è una prospettiva incoraggiante per chi finora ha vissuto d’altro, praticando il giornalismo per hobby.
Ma occorre rendersi conto che i tempi per una riforma radicale del sistema erano maturi da un pezzo e che, diciamolo, l’agonia di quel calderone residuale che era diventato l’elenco dei pubblicisti è durata fin troppo.
Lo capiranno, i nostri eroi?
O faranno come qualcuno che, per far dispetto alla moglie…finirà per nuocere a tutti?