Giuseppe Giusti, eroe della poesia satirica dell’800, sembra oggi una figura dimenticata da tutti: dai libri di testo, dai professori e dagli stessi lettori. Me compreso. Un tomo che ne riproduce, purgata dagli errori e arricchita di commenti e aneddoti, tutta l’opera in versi gli rende ora giustizia. E riattizza la voglia di compulsarlo.
Lo ammetto candidamente: ci sono cose che, se non indotte dagli altri, non farei mai. Mica per cattiveria o per scelta. Ma per inedia, per indolenza, per pigrizia casomai.
Una di queste è rileggere certi autori, certi libri.
Giuseppe Giusti, ad esempio. Chi al liceo non si è imbattuto, ora annoiandosi un po’ e ora appassionandosi per l’inattesa commozione che affiora dai versi, nella “Sant’Ambrogio” del poeta risorgimentale monsummanese, amico del Manzoni (che lo chiamava affettuosamente “Geppino”)? Quella, per capirci, del “Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco / per que’ pochi scherzucci di dozzina / e mi gabella per anti-tedesco / perché metto le birbe alla berlina”? E del “Che fa il nesci, Eccellenza?”. Un classico. Dei miei tempi, almeno.
Oggi invece il Giusti sembra un autore dimenticato, messo da parte (non solo da me) come un vecchio arnese. Un’anticaglia. Simpatico, ma da non riesumare mai. Neanche nella natia Toscana, dove se ne sente parlare poco. Nemmeno durante i dilaganti e spesso pretestuosi festeggiamenti per il 150° dell’unità nazionale l’ho mai visto rammentare, nonostante fosse famoso il suo fervente credo patriottico. E mi confermano che nelle scuole moderne gli sono preferiti, tra i satirici ottocenteschi, il Porta e il Belli.
A farmene tornare la memoria, e il godimento della lettura, ha tuttavia provveduto un amico, che ringrazio pubblicamente. Si chiama Roberto Marcori. A lui il merito di avermi regalato un bel volume da egli stesso dato alle stampe un annetto fa, col contributo dell’Ente CRF. E’ la riedizione commentata di tutta l’opera poetica di Giuseppe Giusti: “Poesie – Versi e Nuovi versi” (RM Print Editore, Firenze, 2010), a cura di Elisabetta Benucci, collaboratrice dell’Accademia della Crusca, e di Enrico Ghidetti, professore di letteratura italiana all’Università di Firenze e presidente della Società Dantesca Italiana.
Un volume all’antica, senza orpelli, sobrio nella veste e nel formato, come si addice a una pubblicazione del genere. Ma denso di contenuto. Visto che, oltre a tutti i testi giustiani, qui riproposti e “restaurati” grazie a un meticoloso confronto con gli originali curati dal Giusti medesimo (e da cui le edizioni successive si erano spesso discostate), contiene anche un imponente apparato di commenti, curiosità, note linguistiche e biografiche, nonché di notizie attinte per la prima volta dall’epistolario del poeta.
Il combinato della godibilità dei versi e delle informazioni produce effetti immediati. Grazie anche a un utilissimo incipitario in calce al libro che, elencando i componimenti in base alle rime iniziali, aiuta chi rammenta solo quelle a ritrovare la composizione, e il relativo titolo, nelle quasi 500 pagine del tomo.
Al resto pensa il Giusti. Come nella sferzante parodia delle feste mondane (“Il ballo”: “…O quadri, o statue / o sante travi / che del vernacolo / rozzo degli avi / per cinque secoli nauseate / coll’appigionasi / vi compensate…”) e dei suoi frequentatori (“…Lì tra le giovani / nuore slombate / e tra le suocere / intonacate / tra diplomatiche / giubbe a rabeschi / e croci e dondoli / ciarlataneschi…”) o nella sarcastica descrizione dell’incoronazione dell’imperatore Ferdinando I (“L’Incoronazione”: “…Il Toscano Morfeo vien lemme lemme / di papaveri cinto e di lattuga/ che per la smania d’eternarsi asciuga / tasche e maremme…”).
Tra i tanti modi per perdere alcune ore del pomeriggio, ieri questo m’era sembrato il migliore. E l’ho adottato.