La Palombelli spara a zero sui giovani giornalisti, dicendo che non hanno qualità per emergere, nè coraggio. Io temo che il problema sia più complesso. E che se il coraggio di qualcuno non viene messo alla prova, è poi difficile misurarlo.
Sta facendo gran rumore un’intervista di “Io Donna” a Barbara Palombelli (qui) sul giornalismo di oggidì.
La Palombelli, in sintesi, afferma che in vent’anni di web non è emerso alcun giornalista famoso, in circolazione ci sono anzi sempre gli stessi della vecchia guardia e ciò perchè ai giovani mancano il coraggio e i maestri.
Che manchino i maestri è vero.
Principalmente per ragioni anagrafiche, però: ormai, nelle redazioni, nei ruoli che furono dei maestri siede uno stuolo di giornalisti sì navigati per anzianità di servizio ma che, tranne rari casi, a loro volta già appartengono a una generazione che spesso i maestri veri non li ha avuti. Quindi sono anziani che a volte non hanno nulla da insegnare, nè saprebbero farlo. Anzichè una trasmissione di sapere, da parte loro verso i giovani colleghi c’è una pericolosa trasmissione di ignoranza o di smarrimento professionale.
Il punto cruciale, infatti, a mio parere è un altro: se da noi faticano a emergere nuove figure importanti è principalmente perchè il giornalismo italiano è pletorico, intasato, massificato, non selettivo. Così, anche chi è capace incontra difficoltà enormi a distinguersi e quasi sempre finisce affogato, appiattito nella massa della mediocrità generale in cui la professione è sprofondata.
Insomma, è un problema di eccesso e di accesso.
Mi spiego.
Almeno a livello di pubblicisti (ma anche a quello dei professionisti non si scherza), quella giornalistica è, oggi, una professione sostanzialmente liberalizzata: in teoria c’è un iter per diventare giornalisti, ma in pratica all’OdG accede chiunque, facilmente, senza alcun bisogno di dimostrare di saper fare qualcosa nè per entrare, nè per restare nell’Ordine. L’OdG è dunque una sorta di grande parcheggio professionale. O, se preferite, un cie che non prevede espulsioni: entri e non esci più, ma senza trarre in alcun caso troppo benefici. Non ci sono filtri all’ingresso, todos caballeros col tesserino in mano e via. Già questo è catastrofico.
I filtri però, e ciò è peggio, mancano anche a valle. Non esiste nulla che ti fermi o ti induca a tornare indietro. Perchè in un mondo di affamati, di illusi, spesso e inspiegabilmente disposti a tutto per “coronare il sogno” (come se fare il giornalista non fosse un lavoro come un altro), la selezione la fa il prezzo, non la qualità. Succede così che la vita professionale si snoda per quasi tutti come un cane che si morde la coda: se non ho responsabilità non sbaglio, se non sbaglio non imparo, se non imparo non cresco, se non cresco non ho il coraggio, se non ho il coraggio non ho responsabilità.
Il coraggio professionale di cui parla la Palombelli, come chiunque faccia davvero questo mestiere sa benissimo, è infatti il frutto di tre cose combinate: talento, consapevolezza, spalle coperte. Il primo, ce l’hai o non ce l’hai. La seconda la acquisisci con l’esperienza (che però non ti fanno fare). Le spalle coperte non significa avere le guardie del corpo, ma avere una testata che ti dà fiducia, un direttore che ti appoggia e, se necessario, ti difende, un editore che ti paga e un capo che, se sbagli o non sai fare, ti stanga. Ciò giustifica il coraggio che ti è richiesto.
In altre parole, questo non sarebbe un mestiere per tutti.
Solo che, una volta, se avevi stoffa andavi avanti e se non avevi stoffa te lo facevano capire quasi subito. Ci arrivavi da solo, per intuizione o per consunzione. Se per qualche ragione non eri all’altezza ti relegavano sempre più da parte, ti facevano fare tappezzeria, tu per un po’ insistevi e poi ti rendevi conto che era meglio cercare altre strade.
Oggi, no.
Ti viene chiesta una bassa e fungibile manovalanza, sei intercambiabile insomma, devi costare poco e talvolta nulla, trottare molto e non pretendere niente. Una filiera al ribasso che mette quasi tutti alla pari ma non ti dà modo di emergere. Hai voglia ad avere i numeri.
Quindi anche chi è bravo finisce nella maggior parte dei casi per affogare nella melma e il suo coraggio per diventare un’ossessione autolesionistica: ti esponi gratis, ti offri come champagne ma accetti un ruolo e un compenso da frizzantino di quarta.
Ed ecco quarantenni appostati da vent’anni sulla soglia della professione, come mendicanti, nella speranza che da dentro buttino fuori qualcosa per sbarcare il lunario.
In un sistema come questo, nemmeno Montanelli sarebbe emerso.
E poi non c’è più nessuno che riconosca o accetti i propri limiti. Tutti hanno qualcosa da recriminare o da rivendicare. Tutti hanno qualcuno di cui vendicarsi. Danno la colpa agli editori e difendono i sindacalisti. Tutti si pensano all’altezza, nessuno dimostra loro che non lo sono.
Insomma, in questo deprimente casino credo che, una volta tanto, il web non c’entri.