Il 4 ottobre si vota per i vertici dell’Ordine. Sosteniamo chi si candida a difendere (anche) le fasce meno rappresentate della professione. Come la stampa specializzata, sotto attacco da parte dei furbetti della notiziola.
Ho animatamente discusso, giorni fa, col solito nescioquid che tentava di camuffare i propri e nemmeno troppo occulti interessi personali dietro le questioni di principio.
Egli asseriva che anche chi (ad esempio lui, ma su questo glissava) ha merce da vendere, è dotato di una propria etica e ciò basterebbe a metterlo sullo stesso piano di chi merce da vendere non ne ha alcuna, ma fa un altro mestiere basato, guarda caso, proprio sull’etica.
Ovviamente si parlava di informazione, di marchette, di pubblicità, di marketing, di influencer e compagnia bella.
Gli inani sforzi dialettici del tizio erano tesi a dimostrare che una “notizia” più o meno esplicitamente sponsorizzata avrebbe la stessa dignità e valore di una notizia vera, cioè “terza”, ovvero non pubblicitaria, ovverosia giornalistica. Ne conseguiva, a suo parere e con una non indifferente acrobazia logica, che anche chi diffonde o pubblica reclame (cioè siti, blog, influencer, eccetera) ha un bagaglio di dignità identico a chi pubblica e diffonde informazione, cioè giornali e giornalisti.
Il frescone, a dire il vero, andava pure oltre. Sostenendo che, stante l’ormai da lui asserita “parificazione” sostanziale delle due categorie, per non dire la confusione se non perfino la fusione tra le medesime, quella giornalistica sarebbe divenuta obsoleta ed inutile, perchè le “notizie” ormai si apprendono dalla rete e da chi la popola. Cioè, come chiunque in buona fede può facilmente verificare, in gran parte da ciarlatani per vocazione e da venditori di professione.
Orbene, sia chiaro: il commercio, di cose e di informazioni, è in sè perfettamente lecito e onorevole, purchè dichiarato e non spacciato per qualcosa di diverso.
Invitato però a dimostrare che venditori, pubblicitari e ciarlatani hanno non solo una propria etica individuale (quella ce l’ha chiunque, anche i delinquenti) ma pure una deontologia, cioè un’etica professionale, il tipo non ha saputo far di meglio che richiamarsi alle raccomandazioni verbali, di nessuna obbligatorietà (per darsi un tono, lui in realtà ha detto “moral suasion“, forse convinto che il ricorso all’anglobecerismo garantisca più forza persuasiva ai concetti deboli), ripetutamente rivolte dall’Antitrust a aziende, influencer etc per l’osservazione della massima trasparenza in campo appunto pubblicitario.
Ora, voi capite: è come paragonare le norme del codice penale con le esortazioni della mamma a mettersi la camiciola di lana. O dire che i Carabinieri che bloccano con la forza un ladro e il ladro che picchia i Carabinieri per evitare l’arresto sono sullo stesso piano, visto che ambedue usano la violenza e hanno una loro “etica”.
Ma fin qui, comunque, si resta ancora nel folklore.
Il fatto grave e sconcertante, ma colto da pochi, è invece un altro. Anzi, due.
Il primo è che a queste panzane molta gente ci crede. Il secondo è che gli spacciatori di pubblicità (occulta o meno) sono quasi sempre – e psicologicamente parlando è forse comprensibile: a nessuno piace ammettere i propri abbagli – difesi a spada tratta dalle vittime-committenti-clienti, cioè dai produttori delle merci che a pagamento i primi reclamizzano attraverso i loro servizi. Mentre i giornalisti, che in fondo fanno o tentano di fare, sebbene tra mille difficoltà ed anche molti scivoloni, ci mancherebbe, il loro mestiere, non li difende pressochè nessuno. Nè i lettori, nè l’opinione pubblica e nemmeno chi li manda allo sbaraglio pagandoli due lire o consentendo che vengano pagati due lire. Anzi, la categoria è quasi sempre al centro di attacchi concentrici.
Ebbene: siccome il 4 di ottobre si rinnovano i vertici nazionali e regionali dell’Odg, mi piacerebbe molto se, nei loro proclami elettorali, candidati e capibastone correntizi si sbilanciassero su questa delicata questione. E prendessero coscienza che da oltre mezzo secolo questa professione, divenuta molto articolata, la esercitano anche alcune decine di migliaia di giornalisti della cosiddetta stampa specializzata o di settore, il cui lavoro attinge a problematiche, dinamiche e situazioni diversissime da quelle che deve affrontare il cronista tradizionale che di solito si ha in mente quando si parla di “giornalismo”. Ma non per questo sono meno giornalisti di lui.
Costoro però, eternamente schiacciati tra l’uscio dell’informazione e il muro del marketing, chi li rappresenta? C’è qualcuno che si candida avendo a cuore non dico la loro situazione, ma almeno il loro caso?
Se aspirassi ad essere eletto, un pensierino ce lo farei. Otterrei benemerenze, credibilità e, sì, anche voti. I quali, come la pecunia, non olent.