L’anno scorso l’ho fatto elencando i 50 dischi del mio primo mezzo secolo. Oggi celebro il mio compleanno ricordando un amico e un maestro. Perchè io ci sono ancora e lui no.
Oggi compio gli anni.
Non ho però la fortuna di un mio caro amico e coetaneo che, anni fa, nella stessa ricorrenza cadde di motorino, picchiò la testa e – a parte qualche graffio da poco conto – per qualche giorno si dimenticò tutto. In ospedale dovettero mettergli sul comodino un foglietto con scritto: “Mi chiamo tal dei tali, oggi è il giorno tal dei tali ed è pure il mio compleanno!”.
Insomma, io me lo ricordo benissimo. E non è che ci sia ormai un granchè da festeggiare. Diciamo che è un giorno che inclina al malinconico, come i tanti che l’hanno preceduto e quelli che lo seguiranno.
Lascio agli altri i bilanci, le riflessioni e tutto l’apparato di necessarie ovvietà che accompagnano certi appuntamenti con il tempo. Provo semplicemente a uscire da me stesso e a osservarmi dal di fuori, chissà che cosa sarò capace di vedere.
Mi piacerebbe invece fare gli auguri a qualcuno che non c’è più, ma che era nato quando me, solo qualche anno prima, anche se io l’ho scoperto molto tardi, quando ci conoscevamo da tempo.
Lui era Giorgio Batini (1922-2009), giornalista e scrittore fiorentino. Uno che il mestiere l’ha fatto per davvero, negli anni eroici dei caratteri a piombo e del boom, delle nottate in tipografia, delle notizie che non correvano veloci e andavano inseguite, come insegnava l’adagio professionale, utilizzando le suole delle scarpe.
Altri tempi, altra tempra.
Per me è stato un maestro. Ma di quelli all’antica, sobri, bonari, quasi paterni, pazienti, uno a cui in apparenza va sempre bene tutto sebbene il suo poi non fosse altro che un modo gentile per dirti che, forse, qualcosa andava rifatto, controllato, approfondito.
Ci conoscemmo fortuitamente (almeno io ho sempre creduto così). Lui era andato in pensione da poco – da La Nazione, è ovvio – scriveva libri e curava una bella rivista di varia toscanità, con la meticolosità di chi non è abituato a fare le cose a caso. Io ero un principiante. Ci univano, l’ho capito a poco a poco, un’antica ed estatica passione per l’agricoltura e una certa inclinazione a indagare, a guardare sotto le apparenze, a scavare nelle questioni.
Non mi ha mai fatto mistero della sua grande stima. Una stima che trovavo, e in fondo trovo ancora, tanto gratificante quanto inspiegabile. Frutto di una miscela di affetto e di considerazione, asciutta, di poche parole disperse tra i rivoli della sua torrenziale, proverbiale conversazione, ma palpabile, percepibile. Amava farsi domande e gli piaceva chiedermi le risposte. Spero di non averlo mai deluso.
Ecco, oggi che è il nostro compleanno e che Giorgio Batini non c’è più, mi piace ricordare lui al posto mio.
So long.