2001, Odissea nell spazio? Spazio 1999? No, interno di treno Firenze-Forlimpopoli (foto Phillips)

Questo breve post del dopo pellegrinaggio è dedicato a chi sa osservare, a chi sa ricordare, a chi sa riconoscere il valore utile delle cose, a chi sa provare riconoscenza e fedeltà non solo verso le persone e le idee ma anche verso gli oggetti, ovvero i compagni inanimati delle proprie avventure.

Soundtrack: “Long may you run“, Neil Young.

L’altro giorno, disfacendo il bagaglio, ho notato dettagli ai quali, prima di partire, non avevo fatto caso. Con la concentrazione e il pragmatismo del viaggiatore abituale avevo razionalmente selezionato i capi che mi parevano più adatti, più idonei, più appropriati al lungo cammino da compiere. Togliendoli dalla valigia, mi sono accorto che sono gli stessi, esattamente gli stessi di mille altri viaggi. I medesimi che mi hanno accompagnato in mezzo mondo. Camicie di cui conosco ogni bottone e ogni asola, pantaloni di cui conosco alla perfezione ogni tasca e ogni taglia, maglioni di cui conosco per filo e per segno tenuta termica, tempi di asciugatura, peso e ingombro. E’ su di loro che, inconsapevolmente ma senza esitazioni, ancora una volta è caduta la mia mano. Segno di fiducia e di familiarità reciproche. Un caso? Tutt’altro. Il sintomo anzi di una fiducia incondizionata, di un’affidabilità a prova di bomba, capace di dare la sicurezza, la mancanza di patemi necessaria ad affrontare al meglio qualsiasi circostanza.
E le scarpe, che dire delle scarpe?
Chi dei miei compagni di viaggio ha un po’ più occhio, si è certamente accorto che le scarpe che ho portato per l’intero pellegrinaggio artusiano, e che mi hanno consentito di arrivare in fondo confortevolmente senza vesciche, senza rotture, senza problemi, sono le stesse che porto qui, nella foto in fondo a questo articolo, la stessa che ho messo del mio profilo in artusiapiedi.wordpress.com: Mongolia cinese, settembre 2006. Cinque anni fa.
E’ un aspetto a cui ho pensato spesso in questi lunghi giorni di cammino quando, guardandomi i piedi durante la marcia, mi compiacevo della loro robustezza e confortevolezza. Tante volte, vagando col pensiero forse anche per distrarmi nei momenti più faticosi, ho provato a calcolare mnemonicamente quanti km abbia percorso con loro e grazie a loro. 500? 1000 forse? Non lo so. Tanti, però. Io e loro, loro ed io.
No, non è una sindrome un po’ patetica da “vecchio scarpone, quanto tempo è passato”. Per chi viaggia abitualmente, ci sono oggetti, suoni, sensazioni che sono indispensabili da avere e da ritrovare. Prima, dopo e durante. Come l’odore di casa al rientro, il guaito del cane che ti riconosce quando metti la chiave nel portone, certi locali dove vai sempre, certe persone che incontri con piacere. E anche il tocco inconfondibile sulla pelle di certi tessuti o il loro profumo che, in ogni momento, ti ricordano: sei via, sei on the road.
Bisognerebbe scrivere un libro sulla valigia del viaggiatore e la storia degli oggetti che contiene. Spesso più importanti del viaggiatore stesso.
Come canta Neil Young: “Long may you run / long may you run / and a trunk of memories still in come…“.
Saluti ai pellegrini e ai loro/nostri seguaci virtuali.