Nata in Usa nel 2009, sbarca in Europa nelle varie lingue, compresa la nostra, Vivino: la famosa app di recensioni vinicole, con una comunità di 5 milioni di persone. Qualcuno dirà che è una non-notizia. Per me, invece, è un segnale.

Non so se la cosa fosse nota da tempo, ma io l’ho appresa ieri da un comunicato stampa: arriva in Italia, e in italiano, una wine app che si chiama Vivino (qui). E che, in pratica, è il corrispondente enoico di Trip Advisor. Gratuita, nata negli Stati uniti cinque anni fa, è ora disponibile, oltre che nella nostra lingua, anche in francese, spagnolo, tedesco e portoghese.
Si tratta di un enorme contenitore con tre milioni di “recensioni” (virgolette di rigore) di decine di migliaia di vini, scritte direttamente dai consumatori, alle quali si accede inviando la foto dell’etichetta della bottiglia che si ha di fronte. Una volta letti i report ed eventualmente scelto il vino, si può “interagire” con il sistema mandando la propria scheda critica e arricchendo così il portafogli recensivo del portale.
Come Trip Advisor, appunto.
Non sto qui a ripetere quanto di male penso su Trip Advisor e sugli abusi a cui esso (come le indagini di questi giorni potrebbero dimostrare, anche sotto il profilo legale) si presta, inclusi mercimoni e concorrenze sleali di ogni tipo, grazie alla collaborazione più o meno maliziosa dei dilettanti allo sbaraglio con la fregola del recensore, in omaggio al dilagante principio del “todos caballeros“.
Ecco: circoscritti al mondo del vino, francamente i rischi con quest’app mi paiono identici.
Mi sono fatto un lungo giro e ho visto un po’ di “recensioni” (virgolette sempre di rigore): tutto depone a favore dell’ipotesi di un brillante, abile progetto, ben organizzato e ben realizzato, in un’astuta commistione di candori disarmanti e marketing spinto, con ampie sacche a disposizione della creatività dei produttori. Non a caso Vivino vede la luce espressamente rivolto al consumatore “medio” delle piazze esotiche, in media assai poco smaliziato. Gioco facile, appunto, finchè si rimane su mercati enologicamente poco evoluti come quello americano e simili, ma da noi la cosa è diversa.
Niente da eccepire, sia chiaro, sulla bontà dell’intuizione e del business. Anzi, tanto di cappello all’ideatore.
Ma che segnale è se tutto ciò sbarca in Europa? Significa che anche Francia, Italia, Spagna, Germania, i paesi “vinicoli” insomma, sono considerati dagli strateghi della comunicazione globale e digitale ormai maturi per la recensione fai-da-te, il passaparola marketing oriented, le due chiacchiere al bar che chiunque ha il “diritto” (e ci mancherebbe) di fare?
Mi direte: mica c’era bisogno della versione in italiano per bazzicare Vivino.
Certo. Ma rendendolo “nativo” il quadro e le possibilità di familiarizzazione cambiano integralmente.
Illuminante, in proposito, la nota di approfondimento che accompagna il comunicato:
Gli organi di stampa tradizionali influenzano ancora molto il settore vinicolo, ma allo stesso tempo cresce l’impatto dei social media sulla comunicazione con i consumatori e sulle abitudini del pubblico nell’acquisto di vini. Secondo Michael Walton, Direttore Esecutivo dell’area Consumer and Business Intelligence di Nielsen Pacific, l’84% dei consumatori di vino si affida alle opinioni di familiari e amici per selezionare i vini. La ricerca condotta da Nielsen mostra anche che nel raccomandare vini, il 68% di chi beve vino si affida alle opinioni messe on line da altri consumatori. Un tipo di comunicazione tra consumatori che non esisteva affatto 10 o 15 anni fa. Vivino è la prima wine app al mondo rivolta ai consumatori. Permette a consumatori e professionisti di condividere i loro vini preferiti con altri amanti del vino direttamente da smartphone o dispositivi mobili. Vivino è il database più completo al mondo. Ha oltre 4 milioni di utenti a livello globale e vanta più di 10.000 download al giorno. Questa app, facile da usare, è dotata di una tecnologia unica per la scansione delle etichette, che valuta i vini in base al feedback indipendente e all’obiettivo dei consumatori“.
Ora, capiamoci.
La “condivisione” e le comunità “social” sono una realtà entrata nel profondo della nostra società. Da cui prendere le distanze è, più che ridicolo, inutile.
Ma se siamo al punto che, per scegliere un Amarone, mi fido più del parere di John Smith, elettrauto a Milwakee, invece che del sommelier del ristorante o di un critico di professione, la magia e la cultura del vino (nonchè il vino buono tout court) hanno le ore contate.
Il fondatore e amministratore delegato di Vivino, Heini Zachariassen, lo dice in modo quasi esplicito: “Il nostro tasso di crescita è già stato davvero fenomenale e questo soltanto nella versione in inglese. Con l’aggiunta della versione in italiano, francese, spagnolo, tedesco e portoghese ci aspettiamo un salto enorme in termini di crescita, sia per il numero di utenti che per il numero di vini presentati. Vivino – continua – è destinata ad utenti medi che vogliono sapere quali vini piacciono alla gente comune, non quale vino i critici dicono di bere. Le nostre dimensioni ci permettono di essere più veloci ed efficienti nel confrontare i vini presentati con il nostro database. I nostri utenti hanno a disposizione una rete molto più ampia di valutazioni da parte di semplici amanti del vino di ogni parte del mondo».
In sintesi, tra le righe, il messaggio è inquietante: alla gente non piacciono i vini che i critici vogliono imporre, quindi noi vi diciamo quali vini piacciono alla gente perchè la gente lo dice a noi.
Insomma, “todos entendidos” e tanti saluti al resto.
Stai a vedere che, per una volta, la novità non porti sullo stesso fronte gli enogiornalisti e quelli che critici non sono, ma di vino comunque se ne intendono (e ne scrivono).