Mou aveva costruito una macchina perfetta. Una macchina pensata per dare il massimo nell’arco della stagione per la quale era stata progettata. Dopodichè, esauriti il compito e le risorse, poteva pure rompersi. L’Inter che oggi, passata nelle mani di Benitez, per la prima volta dopo molto tempo incontrerà il Milan non da favorita, è una squadra rotta e esaurita. Ma forse ancora capace di vincere, per la gioia nostra e anche di Josè. Ecco la grande, più affascinante scommessa.
Anni fa, un grande campione di motonautica mi disse che una barca che non si rompe un metro, appena un metro dopo aver tagliato il traguardo, è il frutto di un errore di progettazione. Le barche da corsa, sottolineò, sono progettate per dare il massimo del rendimento e nella resistenza nell’arco di tempo e di sollecitazioni meccaniche in funzione del quale sono state pensate. Se non si rompono subito dopo la fine della gara, ciò significa che potevano essere ancora più leggere, ancora più potenti, ancora più veloci. Quindi ancora migliori.
L’aneddoto mi è tornato in mente pensando al derby di stasera e alla voci raccolte giorni fa sullo stato di salute psicofisica dell’ambiente interista.
Per la prima volta dopo molti anni, oggi non affronteremo il Milan da favoriti. E forse questo è, almeno scaramanticamente, un bene.
Ma la realtà è diversa. La nostra squadra è esausta, esaurita. Non lo è solo nei singoli elementi, ma soprattutto nello spirito collettivo, nella carica nervosa. Da progettista geniale, l’ingegner Mourinho l’aveva consapevolmente disegnata per ottenere da essa il massimo nell’arco di tempo programmato. E per rompersi, potenzialmente, subito dopo. Ci è riuscito: triplete. Un successo dopo il quale, al pari del suo ingegnere, quella macchina perfetta si poteva considerare aver svolto il proprio compito. Il materiale con cui era stata costruita aveva dato tutto. Sarebbe stato necessario progettare una macchina nuova, come in formula 1 o in moto GP. Ma ripetere due volte un capolavoro, da una stagione a un’altra, è difficile. E così l’ing. Mourinho – raggiunto l’obbiettivo – ha lasciato (maliziosamente? Può darsi, ma anche la sua dipartita può rappresentare un’ottima giustificazione se non si rivincesse…) l’Inter, tra mille rimpianti e la nostra eterna gratitudine.
Difficile, ora, capire se (e fino a che punto) Moratti da un lato e Benitez dall’altro fossero consapevoli di tutto questo. Se abbiamo accettato la scommessa di provare a rivincere con una squadra svuotata. Oppure se abbiano sottovalutato l’effetto usurante della stagione precedente. O non abbiano capito lo stato di esaurimento dei giocatori.
Il che non vuol dire che questi non abbiano le risorse fisiche e atletiche per vincere ancora. Ma certo non nel modo tracimante e con la larghezza, il furore, l’intensità dell’anno scorso.
Ecco, forse è qui la grande sfida: rivincere (sesto scudetto consecutivo, sarebbe una leggenda) il campionato, magari la coppa Italia e arrivare almeno alle semifinali di Champions con una squadra palesemente in riserva. Un modo come un altro per dimostrare la nostra superiorità, nonostante gli handicap?
Siamo certi che, da Madrid, ne gioirebbe per primo anche Josè Mourinho. A prescindere da come finirà il derby di stasera. Perchè, ammettiamolo, la sbornia di Madrid non ci è ancora passata.