A un mese dalla chiusura della massima manifestazione toscana dedicata al vino, un po’ di cronaca e di considerazioni su una formula con molti pro e contro, migliorabile ma per ora insostituibile.

 

A un mese dalla chiusura delle Anteprime Toscane del vino 2025 non è certo il momento di fare bilanci, ma è opportuno esplicitare alcune considerazioni a mente fredda e a 360°, andando a indagare non tanto i risultati strettamente enoici, già ampiamente reperibili altrove, quanto quelli economici e politici della manifestazione.

La prima evidenza è la conferma del forte investimento della Regione Toscana sull’evento, evento dichiaratamente promozionale non solo per il prodotto in sè, ma per il territorio e l’amministrazione regionale stessa, che scommette sul potere attrattivo e mediatico globale del vino made in Tuscany. Lo sforzo economico e l’impegno organizzativo sono evidenti. Non sta a noi valutare se il gioco valga la candela. Non c’è dubbio però, come più volte sottolineato, che il vino e tutto ciò che gli ruota intorno venga considerato in Regione un asset strategico sotto molti punti di vista. I numeri paiono confermarlo, anche se le nubi all’orizzonte di mercati sempre più fluidi e ondivaghi giustificano qualche timore, almeno a medio termine, sulle capacità del comparto di adattarsi a uno scenario che richiede una flessibilità di natura più industriale che agricola e di assorbirne senza danni e contraccolpi. Il tutto anche al netto della minaccia-dazi dell’ultim’ora.

Confermata inoltre l’acquisita natura “plastica” della manifestazione (segno, ammettiamolo, anche di una certa inquietudine nell’ambiente): realtà che escono ed altre che entrano, lasciando però immutato un format generale esteso, con le “preanteprime”, alla non indifferente durata di oltre una settimana. Arco temporale impegnativo non solo per chi organizza, ma pure e forse soprattutto per chi partecipa, una questione non da sottovalutare. Dopo l’uscita, nelle scorse edizioni, delle due appendici extraurbane di Brunello e Vernaccia, il fulcro principale è rimasto la città di Firenze coi tre dei suoi “poli”, come si diceva una volta: Fortezza da Basso (Chianti e Morellino), Leopolda (Chianti Classico) e Palaffari (Altra Toscana). Quest’anno in calendario si è però rilanciato prepotentemente il Nobile di Montepulciano che, accaparrandosi due giornate intra moenia, anziché una sola, si è assicurato la possibilità di offrire finalmente alla stampa, con l’agio e gli approfondimenti necessari, una visione completa della nuova annata, del comprensorio poliziano e della neonata tipologiaPievi”, rimasta finora piuttosto nell’ombra. Per il Consorzio, senza dubbio un successo.

In coda al calendario delle Anteprime si è agganciato allo stesso modo il Valdarno di Sopra Doc, con una giornata al Borro molto ricca, oltre che di assaggi, di contenuti tecnici. La strategia consortile è apparsa chiara: insistere nella sottolineatura dell’identità del territorio come parte integrante, ma comunque distinguibile ed autonoma, del grande “vigneto Toscana”, con un messaggio rivolto soprattutto ai mercati esteri. I mezzi non mancano, le ottime bevute nemmeno, ma il lavoro che resta da fare sugli stili aziendali dei vini e sul ruolo identitario loro affidato è ancora molto, a cominciare da un disciplinare che, se ha il merito – in una visione molto contemporanea – di ammettere qualsiasi tipo di chiusura (escluso il tappo a corona),  lascia anche spazio nella denominazione a 44 teoriche tipologie diverse. Decisamente troppe, sebbene molto si punti sul biologico e sulla restrittiva tipologia “Vigna”. L’adesione al gran treno regionale la dice tuttavia lunga sulla volontà valdarnese di insistere, oltre che sulla territorialità, anche sulla toscanità.

Tra le novità delle Anteprime di quest’anno la rinuncia degli storici alleati Chianti e Morellino di Scansano ad affiancare le consuete degustazioni tecniche riservate alla stampa all’altrettanto consueta, ma spesso troppo caotica e dispersiva, manifestazione “pop” aperta la pubblico, spalmata invece nel 2025, ha spiegato il presidente Giovanni Busi, su un ventaglio di diversi eventi diffusi nel calendario: dal nostro punto di vista, una scelta più che azzeccata, che ha restituito all’appuntamento la sobrietà e la tranquillità necessarie in una circostanza del genere. Piuttosco scarsa però la partecipazione delle aziende produttrici, soprattutto sul versante chiantigiano, a conferma di qualche difficoltà di rappresentanza di quel così vasto arcipelago e la forte polverizzazione di offerta, strategie, politiche imprenditoriali.

Sulla stessa falsariga già percorsa l’anno scorso si è mantenuta anche l’anteprima de L’altra Toscana, il “gruppone” un po’ eterogeneo che raccoglie alcuni dei consorzi toscani più piccoli e con minori disponibilità di mezzi economici, finanziari e organizzativi (ma non per questo meno qualitativi): Carmignano, Montecucco, Val di Cornia, Terre di Casole, Cortona, Maremma Toscana, Toscana IGT e Rufina. L’appuntamento rappresenta da sempre, per la stampa, tanto un’opportunità quanto un problema: da un lato offre l’occasione per degustare insieme, in un contesto tecnico e confortevole, vini di aziende e comprensori a volte piccoli e spesso molto lontani geograficamente al punti che sarebbe impossibile raggiungerli tutti e peggio ancora giudicare comparativamente i vini; dall’altro, però, dato il numero (circa 300) e l’eterogeneità dei campioni, è pure impossibile assaggiarli in una sola giornata. Il che costringe a fare delle drastiche scelte, nonostante l’intelligente scelta degli organizzatori di suddividere i vini per percorsi tipologici omogenei. Tutto considerato, pare per ora difficile trovare una formula diversa, salva l’ipotesi (credo però impraticabile all’interno del calendario e anche nel quadro dei costi) di spalmare l’evento su due giornate.

Uno sport a parte, per chiudere il quadro, l’ha praticato infine il Chianti Classico con la sua Collection alla Stazione Leopolda, iniziativa supercollaudata che funziona ormai come un orologio svizzero, superando alla grande perfino le insidie – pratiche e ideologiche – dell’app per la chiamata dei vini ai sommelier. La sensazione, ampiamente condivisa, è che l’evento spicchi, per professionalità e qualità, a livello nazionale e non solo regionale. Unica pecca, ma certo non attribuibile al Consorzio, il fatto che, come per altri appuntamenti, i vini presenti siano troppi per essere assaggiati tutti nei due giorni disponibili, e che, quindi, chi partecipa debba scegliere per annate o per tipologie, rinunciando alle altre. Ciliegina sulla torta dell’edizione 2025, comunque, la spettacolare cena di gala al Teatro del Maggio, dove il sipario, anziché chiudersi sul davanti all’orchestra subito dopo il bel concerto di benvenuto, si è aperto a sorpresa alle sue spalle rivelando agli ospiti, rimasti letteralmente a bocca aperta in platea, la penombra dell’enorme retropalco apparecchiato con i tavoli  illuminati a candela. Chapeau!

Eppure, alla fine, sulla maratona toscana del vino resta un’ombra che aleggia, un fattore irrisolto che serpeggia e rende inquieti parecchi produttori, anche perchè al momento appare insolubile. Tra di loro c’è infatti un’esplicita voglia di rapporto diretto con la stampa. I vignaioli vorrebbero insomma – comprensibilmente, dal loro punto di vista – incontrare fisicamente i giornalisti, assaggiare con loro, confrontarsi, spiegare i vini. Cosa, sì, teoricamente possibile aggirandosi tra i banchi delle aziende. Ma per fare la quale alla stampa manca quasi sempre il tempo: è troppo più pratico e veloce degustare seduti, nelle sale riservate e col servizio sommelier, piuttosto che girare tra i padiglioni privilegiando alla fine qualche decina di aziende – impossibile visitarne di più – e trascurando tutte le altre. C’è poi però, in alcune circostanze, come segnalato, anche la situazione opposta: mancano i banchi delle cantine. Che, per ragioni uguali e contrarie, spesso decidono di non partecipare con un proprio stand e inviano solo i vini da degustare, nella consapevolezza che le possibità di incontrare i giornalisti saranno scarse.

Un cane che si morde la coda e aggiunge un altro dubbio agli argomenti di chi contesta la formula dell’evento.