Ma non è che le preview sono troppo…”pre”? Metà dei campioni non sono imbottigliati. E’ come assaggiare i piatti mentre sono ancora in cottura. E si riapre il dibattito sul senso di queste manifestazioni. Che però, non dimentichiamolo, giornalisticamente parlando sono anche occasioni per parlare di vino, di territorio, di economia, di persone e di tutto ciò che ci ruota intorno.
Anteprime toscane: siamo al midterm, direbbero gli americani.
Passate Vernaccia e Chianti Classico, tocca ora a Nobile e Brunello. Ma gli elementi per trarre qualche conclusione ci sono già.
Cresce il disagio per un sistema di anteprima che è talmente in anteprima che metà dei vini in degustazione non sono ancora imbottigliati. Quindi ingiudicabili, se non in base a parametri specialistici di nessun interesse per il 90% dei lettori dei giornali, che sono quelli per i quali, in teoria, i giornalisti dovrebbero scrivere.
Le ragioni di tutto ciò sono tante, a volte anche comprensibili, ma l’effetto è grottesco. E’ come iscrivere una tredicenne a miss Italia, pretendendo che sia valutata “in anteprima” rispetto a quando di anni ne avrà 18 e sarà dotata sia dell’età che del fisico per concorrere.
Non è una novità, certo. Ma il numero dei vini “minorenni” cresce sempre ed ovunque, è tracimante, ormai quasi maggioritario e questo – diciamolo – priva il tutto di molto del suo senso. Lo priva perché stiamo parlando, memento!, di presentazioni alla stampa, ai giornalisti e non agli enologi, ai tecnici o ai produttori.
Non è un fenomeno solo toscano (per l’Amarone, a fine gennaio, è successo lo stesso), ma ciò non consola. E riapre anzi la vexata quaestio sull’utilità effettiva di queste impegnativissime (per tutti) e costosissime (per i consorzi) manifestazioni. Alla quale però vorrei aggiungere, a discarico, una considerazione generale: proprio perché sono un giornalista, non devo dimenticare che alle anteprime non si viene solo per assaggiare ma per parlare, vedersi, informarsi, incontrare, conoscere, approfondire, intervistare e insomma intrattenersi anche su tutto ciò che al vino ruota intorno.
Ed è un peccato che ciò a volte non venga colto. Perché – fatte le debite proporzioni di numeri, di mezzi e di spazi – Dio solo sa quanto di eventi come quelli di San Gimignano e della Leopolda c’è bisogno per accendere le luci dei riflettori su un settore in palese, nonostante i proclami ufficiali, e grave sofferenza economica e commerciale.
Con una lungimiranza che ho sempre cercato di sottolineare, ma che solo di recente pare aver fatto breccia nella stampa, i produttori della Vernaccia hanno scelto una formula volutamente destinata più a richiamare l’attenzione sulla denominazione che sui vini dell’annata. L’idea della degustazione parallela e comparativa, non competitiva, tra una selezione di sei loro etichette con altrettante di una denominazione straniera di grande spessore è pericolosa, ma vincente. Serve, se ben interpretata, a sottolineare le differenze, le diverse tecniche, le diverse filosofie. Una sorta di scambio culturale di cui anche i giornalisti sono partecipi e che, nel confronto, arricchisce l’esperienza di tutti. Lunedì, ad esempio, la Vernaccia si è confrontata con la piccola ma agguerrita produzione dell’AOC Vin de Pays des Cotes Catalanes con epicentro a Calce, paesino di 200 anime del Roussillon, vini di grande salinità e lunghezza. Al confronto dei quali il prodotto locale non è affatto uscito ridimensionato, se si valutano le bottiglie in base al rapporto qualità/prezzo (i francesi costano in media il triplo degli italiani). Un passo in più da fare sarebbe forse organizzare due batterie di assaggio: la prima in esplicito e la seconda alla cieca. Credo ci potrebbero essere sorprese.
Altre dimensioni e altro tutto alla Stazione Leopolda che, scusate la ripetizione, resta a mio parere il non plus ultra per eventi del genere. Di scena quasi trecento campioni di Chianti Classico 2009, 2008 riserva e altre riserve varie, oltre agli Igt prodotti sul territorio. Qui l’organizzazione è impeccabile, lo sfarzo assoluto, le condizioni ideali per climatizzazione, spazio, servizio. Ha destato per la verità un certo rumore, più per l’iniziativa che per il suo peso in ambito consortile, l’organizzazione ieri sera, in concomitanza con la cena di gala, di una sorta di controcena da parte di una decina di produttori dissidenti in un locale fiorentino il cui titolare era, peraltro, presente alla serata ufficiale. Mentre buona parte dei dissidenti, oltretutto, era poi rappresentata anche al banco ufficiale. Mah… misteri della politica.
E misteri delle pr, visto che in tutte le anteprime imperversano tra i giornalisti non tanto i coreografici, immancabili imbucati, in fondo facenti parte del “colore”, ma personaggi trasversali di cui è difficile capire il titolo formale.
Non è un caso del resto se a tavola e nei corridoi si è tornati a parlare delle ipotesi di “riforma” delle anteprime, della ricorrente idea di accentrare a Firenze il “centro degustazioni” (che sembra però poco gradito ai montalcinesi) o della loro apertura al pubblico come evento cittadino, con il coinvolgimento di altre istituzioni ed investitori. Chi vivrà, vedrà.
Quanto ai vini, detto dell’aporia di imbattersi in un 50% di campioni da botte (che per scelta non degusto), ne ho assaggiati circa 60 tra 2009 e 2008, come sempre tutti a caso e alla cieca, e non ho ancora sovrapposto le griglie, quindi in sostanza non so cosa ho bevuto. L’impressione grossolana che posso per ora riferire è di un 2009 deboluccio e di un 2008 altrettanto, che segnano un netto ritorno ai cromatismi “normali” e tendono a una semplicità e a una fragranza frutto, probabilmente della convergenza tra scelte di cantina e caratteristiche delle annate.
Tutto sarà più chiaro ed esteso alla fine di questa faticosa settimana…