di URANO CUPISTI
In nave nell’arcipelago: le balene, gli orsi bianchi, i trichechi, la birra norvegese, la cena sul pack alla luce del fuoco. E al ritorno, bagaglio in overload…
Si arriva qui per qualcosa che attrae. La rossa Nordpolen (da queste parti tutte le navi sono rosse per essere individuate nel bianco bagliore), dopo aver navigato nella “notte artica estiva che non c’è” per quattro ore, imboccò la mitica baia di Ny-Alesund.
E’ come passare dalle pagine dei libri di avventura alla realtà. Trovarsi al centro della storia delle scoperte artiche. Quell’alto traliccio che ancora è in piedi a testimonianza della spedizione del Dirigibile Italia e di Umberto Nobile. Ny-Alesund terra di sfide tra amici-nemici di sempre: Umberto Nobile e Roald Amudsen.
“Pisano, aqui estas en casa“. Non riuscii a capire Antonio fino a quando notai il tricolore italiano e la scritta sulla “stazione artica”: CNR Università di Pisa. Non solo la nostra stazione. Diverse di altri paesi tutti ricercatori. Conducono studi di ogni genere, in particolare ricerche dello stato di salute del pianeta e dei cambiamenti climatici. Per loro Ny-Alesund come un “grande frigorifero” dove tutto si conserva perfettamente per millenni. Straordinariamente interessante.
Le consuete strette di mano, le pacche sulle spalle e l’arrivederci sotto la torre.
La nostra nave rossa costeggiò il lato ovest di Spitsbergen diretta decisamente a Nord, entrando e uscendo da fiordi, insenature, baie dove migliaia e migliaia di uccelli stavano nidificando sulle estive scoscese rocce libere dai ghiacci e neve. Navigammo un giorno intero e una notte che non c’è. Poi l’approdo all’isola di Moffen con la spiaggia dei trichechi. Una colonia numerosa, tutti pacificamente distesi. Avevamo superato l’80esimo parallelo, il grande Nord si stava avvicinando.
Mancava l’incontro con l’orso bianco, il sovrano assoluto di queste candide lande.
Lo incontrammo il giorno dopo, sull’isola Purchasneset. Era una femmina con il suo orsacchiotto in cerca di cibo sulla terraferma. Si accorse della nostra presenza non gradita. Lanciò un messaggio: “state alla larga”. E noi, ubbidienti, ubbidimmo.
Bellissima, una macchia candida adagiata sui licheni, plastica nei movimenti, una figura perfetta. Danzava nel suo incedere seguita dal suo orsacchiotto. La seguimmo ad adeguata distanza per alcune centinaia di metri poi Antonio disse: ”Può bastare”. Tornammo alla nostra “rossa” e brindammo con birra norvegese MacK, di Tromsø.
Il comandante ci avvisò che da questo momento in poi avremmo navigato nell’Oceano artico, direzione Nord, direzione pack. E tutti ad osservare le acque di un blu intenso incise dalla prua della Nordpolen.
“Whales, whales” gridò il primo ufficiale di coperta, indicando sbuffi che si innalzavano dal blu delle acque verso il celeste del cielo. Traversarono a prora e la rossa Nordpolen, riducendo la velocità quasi a inchinarsi, lasciò passare le balene a debita distanza. Furono momenti impossibili da narrare se non viverli intensamente.
Eravamo tutti a letto nella solare notte artica quando tre fischi prolungati annunciarono il raggiungimento della meta. Lo confesso: eravamo stati avvisati pressappoco sull’orario dell’impatto e di conseguenza della necessità di coricarsi vestiti, pronti al fischio, per correre a prua, a guadagnarsi la posizione migliore. Optai per il primo posto in plancia, veduta dall’alto.
La Nordpolen cominciò a sbuffare acqua calda per allontanare il ghiaccio ancora sottile fino al limite di sicurezza. Più avanti non si poteva andare. 82°,15’ a meno di 500 miglia dal Polo Nord. Quella che sarebbe stata la mia successiva avventura.
E via a calpestare il pack. Lì volevo arrivare e lì ero arrivato. Piantai una bandierina che, essendo di plastica, Antonio mi ricordò di togliere.
I marinai prepararono un fuoco su un piatto di ghisa antinquinamento e la cena fu servita per tutti sul pack. Ricordi dei momenti più affascinanti, degli uccelli marini, dell’orsa con il suo orsacchiotto, dei trichechi, delle balene e della bianca immensità intorno a noi: caleidoscopio monocromatico.
Il comandante ci richiamò a bordo. Era giunto il momento del ritorno. La Nordpolen si liberò dalla morsa dei ghiacci e iniziò la navigazione verso Sud tra iceberg di piccole dimensioni: la banchisa frastagliata.
La nostra nave era affascinante. Sentii di stare su una nave vera con le cabine da marinaio. Strette, letti a castello. Un unico salone, luogo di ritrovo, di convivio, dei briefing giornalieri tenuti da Antonio ma anche luogo di lettura, di passatempo, di chiacchere il più delle volte incomprensibili e spiegabili solo a gesti. Interni di legno marino che odoravano di legno marino. L’ottone luccicante solo in plancia.
Dopo tre giorni di navigazione con un mare per niente tranquillo, avvistammo da prima il profilo scuro delle Spitsbergen poi l’istmo di Longearbyen. Passammo l’ultima notte solare alla fonda nel bel mezzo della baia, festeggiando tra canti, balli e fiumi di birra. Saluti, abbracci, baci e promesse da marinai per me familiari.
Il giorno dopo, al mattino, attracco al molo dove un funzionario della compagnia aerea mi attendeva con i due borsoni finalmente arrivati alle Svalbard
“Signor Cupisti, voglia accettare le scuse delle nostre compagnie per il disguido“.
“Hai visto pisano che sono arrivati? Basta aver pazienza“, urlò Antonio sarcastico dal ponte di comando.
E io: “Mi scusi, ma adesso ho quattro borsoni da portare in Italia. Nessun supplemento spero“.
“Il signor Cupisti è ripartito ieri” dice il funzionario al banconista, “rimandi i bagagli a Pisa”.
Troppo vestito alla meta.