In un post comparso giorni fa sul sito di Lsdi (qui) riaffiorava la questione dei contributi “volontari” offerti gratuitamente alle (e sollecitati dalle) testate giornalistiche. Tema in realtà basato più sulla perpetuazione degli equivoci che su una sua reale complessità.
Carsicamente riaffiora (me n’ero già occupato qui tempo fa), ma adesso torna particolarmente attuale per la discussione in corso sull’argomento tanto a livello istituzionale quanto della nostra commissione-ombra (qui).
Tutto nasce dall’offerta della rivista Wired ai suoi lettori di aprire un blog sul sito della rivista medesima per raccontare “il loro punto di vista“. Offerta che aveva sollevato eccezioni simili a quelle nate con l’edizione italiana dell’Huffington Post. E che ora si arricchisce tirando in ballo il problema della remunerazione dei contenuti “non giornalistici”. Rimando al sito di Ldsi per i dettagli e mi limito a un commento.
A me pare ci sia un gran gioco di generale ipocrisia.
La questione è posta, da tutti gli interlocutori, in modo spesso tendenzioso, perchè muove da presupposti dati per assunti e invece molto opinabili. Provo a elencarli in breve:
1) Wired specifica di non cercare giornalisti, ma ingegneri, designer etc, insomma “professionisti” dei rispettivi settori: dove è scritto però che questi contenuti “non giornalistici” non debbano essere pagati? La vera differenza è tra il “contributo volontario”, cioè gratuito, e quello professionale, cioè retribuito. La differenza tra contenuto giornalistico e non giornalistico è solo una sub questione, una faccenda di modo.
2) Viceversa, a nessuno può certamente essere impedito di “regalare” qualcosa a qualcuno: quindi ogni atto di liberalità che abbia per oggetto un contenuto, giornalistico o meno, andrà considerato per quello che è, cioè un regalo.
3) Non a caso Ferrazza, il direttore di Wired, nella sua replica al Lsdi parla appunto di “giovani professionisti” e non di dilettanti, di aspiranti o di volontari, quindi fa riferimento a persone che del loro lavoro ci campano, non a gente che si esprime su quei temi per hobby o senza adeguate nozioni.
4) “Per questo chiedo a chi abbia voglia di scrivere su Wired di mandarci una mail, analizzeremo le proposte e se le riterremo valide commissioneremo il pezzo. A pagamento“, dice ancora Ferrazza. Non si capisce però se ad “aver voglia” debbano essere i giornalisti o gli altri. Se, come sembrerebbe, si tratta del primo caso sarebbe opportuno indicare l’entità almeno orientativa dei compensi, perchè anche le idee ricevute, le proposte non accettate e le informazioni raccolte attraverso di esse hanno un valore (e quindi un prezzo).
5) Sonia, una lettrice, commenta “Fare traffico resta comunque un lavoro da blogger“. Mi pare un punto di approdo importante, grazie al quale forse si comincia finalmente a fare chiarezza su qual è il vero lavoro del blogger (cioè di chi usa lo strumento-blog): creare traffico sulla rete. Il lavoro del giornalista è invece “fare informazione”. La differenza mi sembra lampante. Speriamo se ne cominci a prendere atto.
6) In chiusura, il sito di Lsdi accenna al fatto che un equo compenso per blogger e freelance è stato richiesto dai sindacati americani ai siti che ospitano contenuti “volontari“. Ma anche questa mi sembra una sottolineatura incompleta, per la quale rimando al punto 1: sarebbe infatti giusto aggiungere che pure in Usa, al cospetto del caos e delle manipolazioni più o meno malevole dell’informazione compiute via web, le sentenze di alcuni giudici (qui) cominciano a prospettare l’opportunità della creazione, anche in quel paese, di un organo che vigili sul comportamento di chi dice di “fare informazione”, cioè in sostanza i giornalisti, o di chi pretende di farne. Potrebbe essere un’inversione di tendenza clamorosa, che rivaluterebbe il nostro tanto bistrattato sistema ordinistico.
7) La critica vagamente moraleggiante all’economia della gratitudine mi suona infine un po’ ambigua: non posso regalare (quindi dare volontariamente e gratis) qualcosa a qualcuno e poi pretendere di essere pagato per quello che ho donato, sennò si tratta di lavoro. Giornalisti e blogger se ne dovrebbero sempre ricordare “prima” di dare, anziché “dopo”. Insomma, se i patti a cui si richiama Lsdi sono chiari, gli equivoci non ci sono.
Resta da scoprire chi abbia interesse a far sì che le nebbie stagnanti sulla questione rimangano tali.