Le 3° Conferenza dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, organizzata giorni fa a Lucca dalla Regione Toscana, ha riportato di drammatica attualità l’incapacità del mondo agricolo di comunicare se stesso. E la colpa stavolta non è dei giornalisti.

 

Non potendo, per ragioni personali, andarci di persona, ho seguito per intero in streaming la 3° Conferenza dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, organizzata giorni fa a Lucca dalla Regione Toscana. Un appuntamento fondamentale per fare il punto sullo stato di salute del settore in una delle regioni-principe del primario in Italia, a undici anni dalla precedente assise.
Mi aspettavo molto, ma ne sono uscito con poco.
Non perchè siano del tutto mancati i contenuti, che in effetti c’erano, bensì perchè nei due giorni di pur serrati lavori il novanta per cento dei relatori chiamati a illustrare i temi loro assegnati si sono rivelati del tutto incapaci di farlo: nella stragrande maggioranza dei casi si è assistito a balbettanti letture di relazioni precotte, di una noia mortale, di una retoricità e risaputezza drammatiche, dall’iinarrivabile potere soporifero conferito da un linguaggio agriburocratico. Sintomo della mancanza, nei relatori medesimi, sia della più pallida idea di quali fossero i punti importanti su cui far focalizzare l’attenzione del pubblico nei dieci minuti loro concessi, sia, anche, dell’assoluta inconsapevolezza dell’importanza che quei dieci minuti di riflettori accesi sui singoli temi potesse avere al cospetto di un fitto parterre di addetti ai lavori, pubblici amministratori, rappresentanti comunitari e stampa.
Tranne rare eccezioni, insomma (tra le quali mi piace ricordare per sintesi ed efficacia, ad esempio, l’intervento del prof. Mauro Agnoletti, presidente dell’Osservatorio regionale sul paesaggio), a fare la migliore figura alla fine sono stati i politici.
Ed è tutto dire.
Ma almeno l’assessore Marco Remaschi e il governatore Enrico Rossi, pur in un politichese fatto di bastone, carota e di messaggi trasversali che il loro ruolo impone, hanno centrato i punti, sintetizzato le questioni, sottolineato certi aspetti che, così facendo, hanno anche dimostrato di aver colto.
Gli altri, però, mamma mia!
Non mi riferisco solo alle pur abbondanti sgrammaticature, accenti vernacolari, congiuntivi in libertà, esitazioni nell’eloquio (che comunque non dovrebbero esserci o dovrebbero almeno essere contenuti in chi si esprime in pubblico), ma proprio alla banalità degli argomenti e della loro esposizione. Una mancanza di profondità, nell’affrontare temi vitali per l’agricoltura toscana, che a tratti mi è apparsa disarmante.
Ora si dirà che i veri contenuti si troveranno negli atti e ciò è vero. Ma agli atti andranno le relazioni lette in aula e allora teniamoci forte. Anche perchè essendo lì, sul posto, il tutto si poteva arricchire con i commenti degli astanti e dei colleghi, gli umori della sala, le chiose nei corridoi. Ma visto in streaming, ove ovviamente si ascolta solo la voce del conferenziante, le pecche degli interventi sono apparse enormi.
E allora il pensiero è corso al seminario che, quasi un anno fa, come presidente di Aset, l’associazione della stampa enogastroagroalimentare toscana, tenni con il professor Luca Toschi, direttore del Communication Strategies Lab dell’Università di Firenze, all’Accademia dei Georgofili su l'”Agricoltura scomunicata” (vedi qui). Ovvero sul modo in cui essa si esprime o è rappresentata sui media.
Ecco, dopo la Conferenza dell’agricoltura e dello sviluppo rurale di Lucca mi è venuto il dubbio che, alla luce di come essa si è espressa, sia arduo rappresentarla meglio sui mezzi di informazione.
Essa infatti sembra far di tutto per non farsi capire o per velare ciò su cui invece andrebbe puntato il dito, narcotizzando l’interlocutore. Fa riassunti, non indagini. Ripropone l’acqua calda, non solleva domande, non s’interroga e non propone quasi mai. Al massimo, chiede. Cosa che però tutti già si aspettano e di cui sempre meno capiscono il motivo.
Ma facendo in questo modo si alza ulteriormente il muro di incomprensione che già c’è tra il mondo agricolo e il resto della società. Più che di migliori comunicatori, forse l’agricoltura toscana ha bisogno allora di disfarsi degli scomunicatori e del loro armamentario dialettico stravecchio.