Nicola Arigliano è scomparso l’altroieri. Random memories e note personali a lui dedicate tra musica e ironia, olio extravergine e indimenticabili spot tv, aneddoti e risate. Aveva 87 anni, ma solo i medici l’estate scorsa riuscirono a impedirgli di partire in tour con la sua band.
Me lo presentò Fabio Norcini a metà degli anni ’90 (forse alla fine del ‘95, forse all’inizio del ’96), all’epoca del suo rientro sul mercato discografico con il grande “I sing ancora”, per un’intervista poi pubblicata dal Giornale. Lo andai a trovare, non ricordo dove. Forse in Versilia. Ma fu comunque simpatia a prima vista.
Ci univa, oltre all’amore per la musica, la passione per l’extravergine. Lui era pugliese e l’olio ce l’aveva nel sangue, diceva. Tempo dopo mi restituì la visita, perché era rimasto affascinato dal racconto della mia vicenda rural-giornalistica. Gli regalai un po’ del mio, di olio. E lui lo apprezzò a tal punto che ogni mese mi chiamava per ripetermelo. Poi infinite volte ha preannunciato nuove incursioni, ma alla fine mi ha sempre bidonato. Era fatto così.
In compenso, durante le lunghe telefonate, amava divagare, passare di palo in frasca, inframmezzando aneddoti e ricordi, domande e considerazioni sparse. Ho ancora nelle orecchie certe sue risate. Era gigione, disincantato, brillante, gaudente. Con quella faccia indimenticabile, quel ghigno caricaturale che non perdeva neppure quando cantava. Eravamo di generazioni diverse, eppure al termine delle chiacchiere lui era sempre più ottimista e irrequieto di me.
L’ultima volta che l’ho sentito fu nel 2003, quando un po’ per picca e un po’ per gioco voleva partecipare a Sanremo. Glielo impedirono. E lui si rifece nel 2005 diventando il più anziano concorrente del festival e vincendo il premio della critica con “Colpevole”, sempre fedele al suo stile sincopato, fatto di swing e di mestiere, di arguzia e di maestria, di smorfie e di teatro.
Poi lo persi di vista e commisi l’errore di non averlo cercato abbastanza. Ma queste sono lacrime di coccodrillo un po’ patetiche.
Ora che è morto, oltre alle canzoni quelli della mia età ne ricordano i leggendari spot del digestivo Antonetto e certe sue comparsate al Non Stop delle prime tv a colori: “Non voglio noie nel mio locale”, ruggiva nella sigla di testa vestito da pistolero, sparando un paio di colpi da una colt fumante in un saloon di cartapesta. Era il 1977: fuori c’erano gli indiani metropolitani e lui faceva il cowboy…
So long.