In una surreale intervista riportata sul sito del Lsdi, l’ineffabile Jeff Jarvis, teorico del “giornalista imprenditore”, pontifica dicendo che il nostro mestiere non si sostiene sui contenuti, ma sulle “relazioni” e la “capacità di generare segnali sulle persone in modo da poterle servire meglio e fare pubblicità mirata“. Sì, avete letto bene.

Che differenza c’è tra un giornalista e un venditore di pentole?
In apparenza, lo scarto è evidente: il primo dovrebbe dirvi se quelle pentole funzionano davvero, il secondo deve solo vendervele e quindi userà qualsiasi argomento per riuscirci.
E invece no. Avevamo sbagliato tutto. Non c’è nessuna differenza.
Avete presente quelle frasi-slogan sul giornalismo, tipo “fare il cane da guardia del potere“, “separare i fatti dalle opinioni“, “non mescolare informazione e pubblicità” e così via? Macchè, tutta fuffa. L’intuito, il fiuto, le inchieste, le domande scomode? Ferri vecchi, ciarpame, paccottiglia da “old media“. Parola di Jarvis, Jeff Jarvis.
Secondo lui il nuovo giornalista dev’essere, oibò, “imprenditore”. No, che avete capito, mica un libero professionista, un battitore libero, una partita iva incallita, uno insomma che tira fuori le idee, insegue le piste, rischia del proprio, scova le notizie e poi le vende, giustamente lucrandoci, ai giornali. Macchè.
E’ uno che dà ai lettori quello che vogliono e che, così facendo, ci guadagna.
Un imprenditore, appunto. E va benissimo.
Ma che c’entra col giornalismo? Secondo me, nulla. Secondo lui, tutto.
Stamattina apro come al solito l’interessante bollettino settimanale del Ldsi (qui) e trasalisco.
C’è un’intervista a Jeff Jarvis.
Non vi tolgo il gusto di godervela tutta.
Mi limito a riportare qui, papali papali, alcune frasi illuminanti. Lascio voi a meditare ed approfondire.
Io resto in silenzio ad ascoltare il rumore del mio maestro Indro rivoltarsi nella tomba.
Ipse dixit 1: “Recentemente ho rilevato che noi non siamo nell’industria dei contenuti, ma in quella delle relazioni“.
Ipse dixit 2: “Facebook e Google fanno capire che il valore di questo contenuto è soprattutto nella capacità di generare segnali sulle persone in modo da poterle servire meglio e fare pubblicità mirata“.
Ipse dixit 3: “Penso che per servire i nostri inserzionisti la sola idea di vender loro dello spazio o del tempo non basta. Noi dobbiamo aiutarli nel realizzare i loro obiettivi online e allacciare relazioni digitali“.
Ipse dixit 4: “dobbiamo aggiungere valore a ciò che esiste, visto che […] le informazioni scorreranno da sole, anche senza di noi. Dobbiamo quindi dare del valore aggiunto. Che sia in termini di controllo delle notizie (fact checking), o di diffusione, oppure ancora di ‘curation’ o di tutte e tre le cose messe insieme“.
Ipse dixit 5: …
Non ce la faccio più a continuare, ma il senso è questo: per sopravvivere, il giornalista deve diventare editore di se stesso e basare i propri guadagni sul business anzichè sul contenuto giornalistico.
Insomma deve sapersi vendere bene.
Ok, io sono vecchio, non sono al passo coi tempi, non mi sono evoluto, sono rincoglionito. Tutto quello che volete.
Ma quello che predica Jarvis non è giornalismo, chiamatelo in un altro modo.
Puntate precedenti sullo stesso tema: qui e qui.