E’ mancato oggi a soli 64 anni, in una clinica fiorentina, Riccardo Berti. Era stato direttore de La Nazione, del Piccolo, del Giornale della Toscana e di Isoradio. Fino a ieri condirigeva il GR3 e il GR Parlamento. Ma soprattutto è stato un maestro e un amico. A volte scomodo, a volte scorbrutico. Sleale mai. I funerali si svolgeranno a Prato mercoledì 7/4, nella basilica di San Francesco.
La prima cosa che disse alla redazione riunita davanti a lui in occasione dell’uscita del numero zero del “Giornale della Toscana” fu: “Ragazzi, io ho un brutto carattere. Quindi accadrà certamente che tra noi dovremo discutere. Ma sappiate sempre che, dopo, si potrà andare a bere un caffè insieme”. L’ultima, da mio direttore almeno, fu quando, mesi dopo, per pietose questioni di soldi decisi di lasciare il posto da caposervizio all’economia che lui mi aveva affidato. Il commento fu tenero e inaspettato: “Mi è dispiaciuto venire di là e vederti svuotare i cassetti”. Era il suo modo per manifestarmi la sua stima, stima di cui in effetti non mi aveva fatto mai mancare attestazioni durante la mia pur breve avventura in Via Cittadella. Attestazioni che continuarono anche in seguito, quando pochi giorni dopo lo “svuotamento dei cassetti” mi richiamò in fretta e furia per fare (“almeno”, come disse lui) il collaboratore esterno.
E’ stato un uomo criticato spesso, Riccardo Berti. Un po’ per la mai perduta scorza da cronista all’antica, un po’ per i modi a volte spicci, un po’ per la mancanza di ostentazione di una cultura accademica che non aveva e che non fingeva di avere. Molto, soprattutto, per aver lasciato il sancta sanctorum di (ciò che all’epoca era) La Nazione, storico quotidiano fiorentino da lui stesso diretto, a favore del berlusconiano “Giornale della Toscana”, dorso regionale della celebre testata fondata da Montanelli. Era la primavera del 1998. Nasceva in città il primo vero giornale di opposizione in una regione ad egemonia rossa. Non tutto funzionò forse come si sarebbe voluto, ma ci provammo. Lo criticarono ancora, quando, lasciata la testata, passò in Rai a condurre la striscia preserale di “Batti e ribatti” prendendo il posto di P.G. Battista e infine quando gli fu affidata Isoradio. Ma lui non se ne curò troppo. Fino a ieri ha condiretto il GR3 e il GR parlamento.
Gli piaceva ridere e aveva un debole per gli abiti di buon taglio. Quando mi presentai da lui per il colloquio, la prima cosa che apprezzò fu proprio il colore e lo stile della mia giacca. Lui era sempre inappuntabile, con la chioma fluente, quel sorriso scanzonato e la lingua sciolta che faceva tanto “pratese”, quale era. Memorabile una volta che litigammo perchè io avevo riportato una pesante affermazione del ministro Dini sul vicepresidente delle Regione Marialina Marcucci che l’interessato smentiva. Ne nacque un polverone, ma alla fine avevo ragione io e lui me lo riconobbe. E mi ricordo lo spumante bevuto nei bicchieri di carta in redazione dopo la chiusura del primo numero, il 26 di maggio (mi pare!) del 1998. E ancora una specie di alluvione che fece saltare telefoni e computer e tutti noi sbarrati dentro fino a mezzanotte con cellulari e portatili. Ed è pochi mesi fa che, a San Gimignano, mi raccontavano per l’ennesima volta di quando fu preso in ostaggio dai carcerati durante una rivolta che era venuto a “coprire” come cronista.
Quando stava creando la redazione del “Giornale della Toscana”, la pagina economica era rimasta l’unica a essere sguarnita. Io per i dieci anni precedenti ero stato corrispondente di fatto da Firenze per la testata madre, ma non mi aspettavo che mi chiamassero. Squillò il cellulare mentre ero a Quarrata, dal commercialista. Di là una voce disse: “Sono Riccardo Berti, ti interessa fare il caposervizio all’economia del nuovo giornale?”. Preso alla sprovvista, risposi: “Parliamone”. E lui: “Parliamone. Tra mezz’ora da me”. Fu così che gli piacque la mia giacca e che tutto cominciò.
Addio Riccardo, sono certo che sarai elegantissimo anche nell’ultimo viaggio.